Johann Nepomuk Nestroy Tradizione e trasgressione a cura di ...
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Alberto Destro<br />
<strong>di</strong> <strong>Nestroy</strong>, significa <strong>di</strong>re che è un autore che si muove entro questo spazio<br />
e che sa utilizzare le possibilità che questo spazio gli offre, ma anche che<br />
subisce i con<strong>di</strong>zionamenti (positivi o negativi che essi siano) che ugualmente<br />
derivano dal carattere collettivo dell’impresa teatrale. Insomma,<br />
<strong>Nestroy</strong> non può essere ridotto ai suoi testi. O meglio: dato che noi posse<strong>di</strong>amo<br />
poco più che i testi (le possibilità tecniche <strong>di</strong> riproduzione dello<br />
spettacolo erano all’epoca del tutto ru<strong>di</strong>mentali e si riducevano a parte<br />
qualche fotografia <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o e non <strong>di</strong> scena a dei <strong>di</strong>segni, più o meno decorosamente<br />
riprodotti a stampa, mentre la cronaca scritta e la critica contemporanea<br />
ci offrono spesso in<strong>di</strong>cazioni generiche e convenzionali e<br />
quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> scarsa utilità), noi dobbiamo far capo ai testi, ma cercando <strong>di</strong> intenderli<br />
alla luce delle con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> concreta reappresentabilità e <strong>di</strong> concreta<br />
rappresentazione per le quali furono scritti. Leggere le «farse con<br />
canto» <strong>di</strong> <strong>Nestroy</strong> allo stesso modo dell’Ifigenia goethiana sarebbe più che<br />
una forzatura, una vera e propria sciocchezza.<br />
Dell’insieme <strong>di</strong> problemi che ho voluto ricordare toccherò qui, e necessariamente<br />
in misura quanto mai ridotta, solo un aspetto. Il teatro<br />
come istituzione collettiva e sia pure culminante spesso in una vetta <strong>di</strong>rezionale<br />
data dalla simbiosi oggi <strong>di</strong> autore/regista, talora <strong>di</strong> autore/attore,<br />
un tempo anche <strong>di</strong> autore/capocomico, in cui le due persone pur con tutti<br />
i possibili conflitti devono alla fine raggiungere una collaborazione per dar<br />
vita allo spettacolo, ha una premessa <strong>di</strong> enorme importanza. La creazione<br />
collettiva del teatro si rivolge ad un destinatario parimenti collettivo, che è<br />
il pubblico, il concreto pubblico fisicamente presente in sala in primissimo<br />
luogo, e poi più in generale il pubblico <strong>di</strong> tutte le altre rappresentazioni, <strong>di</strong><br />
cui si fa più o meno legittimo portavoce la critica. Ora, è ben vero che<br />
tutta la moderna estetica della ricezione ha spinto in primo piano il ruolo<br />
del destinatario nella concreta vita <strong>di</strong> qualsiasi opera d’arte (l’arte vive davvero<br />
solo nel momento della sua fruizione, non nella sua permamenza<br />
come inchiostro sulla carta o strati <strong>di</strong> colore sulla tela), ma questo vale in<br />
specialissimo luogo proprio per il teatro, che si confronta <strong>di</strong>rettamente,<br />
corporalmente <strong>di</strong>rei con le reazioni degli spettatori, alle quali esso a sua<br />
volta più o meno apertamente reagisce (ad esempio tenendone dovutamente<br />
conto ai fini del successo <strong>di</strong> cassetta, quin<strong>di</strong> per il con<strong>di</strong>zionamento<br />
economico: un insuccesso marcato mette in forse tutta l’impresa). Tutto<br />
questo è particolarmente vero, poi, <strong>di</strong> certe forme <strong>di</strong> teatro o <strong>di</strong> certe tra<strong>di</strong>zioni<br />
teatrali.<br />
Lo è in massimo grado per la tra<strong>di</strong>zione del teatro popolare viennese<br />
nella quale si inscrive certamente <strong>Nestroy</strong> (se come suo culmine o suo li-