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di redattore di giornale scritto, in quanto le due<br />

mansioni sono inquadrabili nella medesima collocazione<br />

e sono caratterizzate dalla stessa professionalità<br />

28 . Infine, con riferimento alla posizione<br />

del primo caporedattore, è stato ritenuto non<br />

invocabile il disposto dell’art. 2103 c.c., in quanto<br />

questa figura professionale non è espressamente<br />

contemplata dalla contrattazione collettiva e,<br />

dunque, non è possibile individuare le correlative<br />

mansioni tipiche 29 .<br />

Di dequalificazione sembra occuparsi anche l’art.<br />

11 CNL <strong>Giornalisti</strong>co. A tale riguardo, la norma da<br />

ultimo citata dispone infatti che agli effetti dell’assegnazione<br />

del giornalista a diverse mansioni,<br />

non rileva il fatto che, precedentemente, egli rivestisse<br />

incarichi di superiorità gerarchica e di guida<br />

del personale. Il principio viene enunciato in<br />

generale e con particolare riferimento a situazioni<br />

concrete: è infatti specificamente previsto che il<br />

direttore può attribuire al capo – servizio, al vice<br />

capo – redattore e al capo – redattore il compito<br />

di redigere servizi di informazione giornalistica di<br />

rilevanza, precisando che tali mansioni sono da<br />

intendersi come equivalenti e di analogo contenuto<br />

professionale rispetto al livello di inquadramento.<br />

In questo modo, tuttavia, il problema è<br />

mal posto: la norma sembra ridurre il problema<br />

della dequalificazione al livello di inquadramento,<br />

così concludendo che a parità di inquadramento<br />

contrattuale la dequalificazione non sarebbe mai<br />

configurabile. In questo modo si trascura invece<br />

che la dequalificazione è configurabile anche a<br />

seguito di una modificazione qualitativa delle<br />

127<br />

mutamento di mansioni e trasferimento<br />

mansioni, e quindi a prescindere dalla riferibilità<br />

di quelle mansioni allo stesso o a un diverso livello<br />

di inquadramento. Ora, non c’è dubbio che<br />

la professionalità insita nelle mansioni di chi ha<br />

il precipuo incarico di funzioni di superiorità gerarchica<br />

è qualitativamente diversa dalla professionalità<br />

necessaria a svolgere prevalentemente<br />

mansioni di giornalista scrivente, sia pure di alto<br />

livello. Ancora una volta, dunque, si deve ritenere<br />

che la norma in esame violi il divieto di patti contrari<br />

sancito dall’ultimo comma dell’art. 2103 c.c.<br />

e che sia, pertanto, nulla.<br />

Il danno professionale<br />

La conseguenza della dequalificazione accertata<br />

dal magistrato è duplice: da un lato, il giornalista<br />

ha il diritto di essere adibito a mansioni coerenti<br />

con il suo livello di inquadramento e con la sua<br />

professionalità; da un altro lato, si configura il diritto<br />

al risarcimento del danno professionale.<br />

Sotto quest’ultimo punto di vista, bisogna ricordare<br />

che da tempo si è consolidata una giurisprudenza<br />

che dà rile vanza giuridica al danno professionale<br />

30 , che viene riconosciuto come implicito<br />

nella lesione della profes sionalità, a prescindere<br />

dalla prova effettiva del danno subito 31 . Infatti,<br />

a ragionare diversamente, ritenendo quindi necessaria<br />

una rigo rosa prova in ordine all’effettivo<br />

svilimento della professionalità, si renderebbe del<br />

tutto vano l’istituto del danno alla professionalità.<br />

In effetti, non si riesce a capi re cosa il lavoratore<br />

dovrebbe provare, né come questa prova<br />

potrebbe essere offerta: è assai arduo, per non<br />

28 Cass. 6/3/86 n. 1498, in Foro it., Rep. 1986, v. Lavoro (rapporto), n. 814.<br />

29 Pret. Firenze 7/6/90, in Toscana lavoro giur. 1990, 651.<br />

30 Cass. 18/10/99, n. 11727, in Lavoro giur. 2000, 244, con nota di MANNACIO; Cass. 6/11/00, n. 14443, in Lavoro e prev.<br />

oggi 2000, 2287; Cass. 19/6/81 n. 4041, in Not. giur. lav. 1982, 5; Trib. Bergamo 24/5/00, in Argomenti dir. lav. 2000, 851;<br />

Trib. Milano 22/2/00, in D&L 2000, 446; Pret. Milano 20/7/99, ivi 1999, 885; Pret. Milano 11/3/96, ivi 1996, 677; Pret. Milano<br />

21/1/92, ivi 1992, 417; Pret. Roma 3/10/91, ivi 1992, 391; Trib. Ro ma 28/2/90, in Lavoro 80 1990, 659, Pret. Milano 10/3/89,<br />

ivi 1989, 411; Pret. Milano 4/3/87, ivi 1987, 433; Trib. Napoli 26/9/84, ivi 1985, 530; Pret. Roma 25/3/88, in Riv. giur. lav. 1989,<br />

II, 160; Pret. Milano 10/3/89, in La voro 80 1989, 411.<br />

31 Cass. 16/12/92 n. 13299; Cass. 29/4/04 n. 827; Cass. 16/5/04 n. 10157; Cass. 6/11/00 n. 14443, in Foro it., Rep. 2000,<br />

v. Lavoro (rapporto), 669; Cass. 18/10/99, n. 11727, in Lavoro giur. 2000, 244, con nota di MANNACIO; Trib. Milano 10/6/00,<br />

in Orientamenti 2000, 367; Trib. Milano 4/5/2001, in D&L 2001, 705; Trib. Milano 26/4/00, in Orientamenti 2000, 375; Trib.<br />

Roma 28/3/00, in Argomenti dir. lav. 2000, 846; Pret. Milano 28/3/97, in D&L 1997, 791. In senso contrario, è stato ritenuto<br />

che il risarcimento del danno professionale presupponga la prova, da parte del lavoratore, del pregiudizio concretamente<br />

subito: v. Trib. Milano 16/10/98, in Argomenti dir. lav. 2000, 839; Trib. Bergamo 10/12/96, ivi 2000, 835.

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