Scarica (PDF) - Ordine dei Giornalisti
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Art.22<br />
dire impossi bile, di mostrare di essere, a seguito<br />
di una prolungata inattività, un la voratore meno<br />
bravo che in passato. A fronte di questa vera e<br />
propria prova diabolica stanno in vece dati di comune<br />
esperienza, che suggeriscono come anche<br />
brevissime pause dal lavoro (per malattia o per<br />
ferie) rendono difficile la ripresa del lavoro per ché<br />
quel brevissimo lasso di tempo è stato suffi ciente<br />
ad incrinare l’abitu dine, la dimestichezza con la<br />
mansione. Infatti, la professio nali tà non è solo un<br />
insieme di nozioni, ma anche un insieme di abilità<br />
(il know-how) che si acquista con l’esperienza e<br />
che consente al lavoratore di utilizzare al meglio<br />
le cono scenze o di sbrigare il lavoro nel minor<br />
tempo possi bile. Per tanto, una anche mi nima assenza<br />
dal lavoro comporta (quanto meno) il venir<br />
meno di questo in sieme di abilità e, con ciò, lo<br />
svilimento della professio na lità.<br />
Quanto si è appena detto non è che un aspetto del<br />
pro blema, perché la lonta nanza dal proprio lavoro<br />
com porta non solo la perdita di queste abilità che<br />
si ac quistano e si conservano solo mediante la<br />
pratica, ma anche la perdita di oppor tunità (opportunità<br />
di car riera, opportunità di approfondire<br />
le proprie co no scenze) e anche la perdita delle<br />
conoscenze già acqui site.<br />
Come si vede, il quadro complessivo delle conseguenze<br />
che derivano dall’inat tività lavorativa<br />
portano a con cludere che il danno alla professionalità<br />
è ve ra mente intrinseco alla man canza di<br />
una qualsiasi attività lavorativa o comun que allo<br />
svolgimento di una attività lavorativa diversa e<br />
dequalificante rispetto alla pro pria.<br />
Le conclusioni cui si è sopra giunti sembrano essere<br />
state messe in discussione dalla nota pronuncia<br />
delle Sezioni Unite della Corte di cassazione<br />
n. 6572 del 24/3/06 che, secondo alcuni<br />
commentatori, richiederebbe la prova rigorosa<br />
del danno professionale che, dunque, non sarebbe<br />
più implicito nella dequalificazione.<br />
Se così fosse il ragionamento seguito dalle S.U.<br />
si porrebbe in contrasto con l’orientamento ormai<br />
128<br />
divenuto prevalente non solo nella giurisprudenza<br />
di merito ma anche presso la Sezione Lavoro<br />
della stessa S.C., secondo cui la violazione del<br />
diritto alle mansioni comporta di per sé un danno<br />
professionale risarcibile.<br />
Infatti, se si dovesse concludere che, in concreto,<br />
dall’accertamento dell’intervenuta dequalificazione<br />
non derivi pressoché mai (se non nei<br />
casi in cui la stessa determini l’insorgere di una<br />
patologia certificabile a livello medico) una conseguenza<br />
pregiudizievole concretamente comprovabile,<br />
l’effetto sarebbe evidente, nel senso<br />
che qualunque imprenditore si sentirebbe legittimato<br />
a dequalificare i propri dipendenti non più<br />
graditi; infatti, nella migliore delle ipotesi (per il<br />
datore di lavoro stesso) i lavoratori sarebbero<br />
prima o poi indotti a rassegnare le dimissioni<br />
per sottrarsi ad una situazione umanamente e<br />
professionalmente mortificante; in alternativa,<br />
l’impresa si vedrebbe al più costretta, dopo uno<br />
o due anni di giudizio, a riammettere il lavoratore<br />
nelle mansioni precedenti, senza nessuna conseguenza<br />
di carattere patrimoniale. Senza contare<br />
che, essendo oramai esclusa la coercibilità<br />
degli obblighi di fare, tra cui quindi anche quello<br />
di riammettere il lavoratore demansionato nel<br />
ruolo prima di sua pertinenza, la sentenza giudiziale<br />
rischierebbe di rimanere priva di qualsiasi<br />
conseguenza pratica.<br />
Appare quindi evidente che i principi enunciati<br />
dalla Suprema Corte andranno applicati con la<br />
cautela e l’attenzione che la materia in discussione<br />
impone, stante, come pure evidenziato<br />
nella sentenza in esame, “la forte valenza esistenziale<br />
del rapporto di lavoro, per cui allo<br />
scambio di prestazioni si aggiunge il diretto<br />
coinvolgimento del lavoratore come persona”.<br />
Del resto, la stessa giurisprudenza della S.C.,<br />
successiva alla sentenza delle S.U. di cui si<br />
parla, ha ribadito che il danno professionale è<br />
implicito nella dequalificazione 32 , anche se non<br />
sono mancate pronunce di segno contrario 33 ,<br />
32 V. Cass. 4/4/06 n. 7842; Cass. 21/6/06 n. 14302; Trib. Milano 3/7/2008, in Lav. nella giur. 2009, 90.<br />
33 Cass. 7/3/2007 n. 5221, in Lav. e prev. oggi 2007, con nota di Borlè Gioppi, 1649; Trib. Milano 14/8/2008, in Orient. della<br />
giur. del lav. 2008, 603.