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Art.44<br />

Lgs. 31/7/05 n. 177, che fissa i principi generali<br />

del sistema radiotelevisivo a tutela degli utenti,<br />

stabilendo tra l’altro che questa disciplina garantisce<br />

“la diffusione di trasmissioni pubblicitarie<br />

e di televendite leali ed oneste, che rispettino la<br />

dignità della persona, non evochino discriminazioni<br />

di razza, sesso e nazionalità, non offendano<br />

convinzioni religiose o ideali, non inducano<br />

a comportamenti pregiudizievoli per la salute,<br />

la sicurezza e l’ambiente, non possano arrecare<br />

pregiudizio morale o fisico a minorenni, non siano<br />

inserite nei cartoni animati destinati ai bambini<br />

o durante la trasmissione di funzioni religiose e<br />

siano riconoscibili come tali e distinte dal resto<br />

<strong>dei</strong> programmi con mezzi di evidente percezione,<br />

con esclusione di quelli che si avvalgono di una<br />

potenza sonora superiore a quella ordinaria <strong>dei</strong><br />

programmi, fermi gli ulteriori limiti e divieti previsti<br />

dalle leggi vigenti”.<br />

Il problema più rilevante rimane, nell’ambito delle<br />

redazioni, specie <strong>dei</strong> periodici, quello <strong>dei</strong> c.d.<br />

“pubbliredazionali”, ovvero articoli redatti sulla<br />

scorta di informazioni provenienti da chi produce,<br />

o commercializza, un determinato prodotto,<br />

e finalizzati, di fatto, alla promozione del prodotto<br />

stesso; tale attività dovrebbe intendersi preclusa<br />

al giornalista in virtù della disposizione di cui al<br />

secondo comma dell’articolo in esame, o quanto<br />

meno dovrebbe essere posta al di fuori dell’ordinaria<br />

attività lavorativa e compensata separatamente.<br />

In ogni caso, il divieto, contrattualmente<br />

sancito, di utilizzo del lavoro del giornalista a fini<br />

236<br />

pubblicitari, appare idoneo a giustificare l’eventuale<br />

rifiuto dello stesso di realizzare articoli con<br />

scopi, più o meno velatamente, promozionali 2 .<br />

I primi garanti della correttezza dell’informazione<br />

sono, anche sotto questo profilo, i direttori, sulla<br />

scorta delle prerogative agli stessi attribuite<br />

dall’art. 6 del contratto; ne consegue che questi<br />

possono essere chiamati a rispondere anche in<br />

sede disciplinare qualora non vigilino sul rispetto<br />

della normativa in materia, impedendo la pubblicazione<br />

di testi che si pongano al di fuori delle<br />

previsioni legali 3 .<br />

Spetta poi all’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> <strong>Giornalisti</strong> vigilare tanto<br />

sull’attività di controllo propria del direttore che<br />

sul rispetto delle norme deontologiche vigenti per<br />

tutti i giornalisti, potendo appunto ricorrere anche<br />

al potere disciplinare allo stesso attribuito dalla<br />

legge (art. 48 e seguenti L. 69/63).<br />

Al riguardo, si possono segnalare alcune significative<br />

pronunce emesse in sede giudiziale a<br />

seguito di provvedimenti disciplinari adottati nei<br />

confronti di giornalisti resisi inadempienti alle regole<br />

sopra ricordate. Così, ad esempio, con provvedimento<br />

in data 1/2/99 il Tribunale di Milano 4<br />

ha respinto il reclamo avverso un provvedimento<br />

dell’<strong>Ordine</strong> che aveva comminato la sanzione<br />

dell’avvertimento al direttore di un noto settimanale,<br />

cui era stato imputato di aver consentito la<br />

pubblicazione di una copertina e di due articoli<br />

in cui risultava difficilmente distinguibile il confine<br />

tra informazione e pubblicità 5 .<br />

Ancora, è stato ritenuto censurabile il compor-<br />

2 “L’incompatibilità con la dignità professionale del giornalista della utilizzazione della sua opera per finalità pubblicitarie è<br />

stata affermata dal Pretore di Roma con provvedimenti di urgenza emessi in due casi concernenti la parziale riproduzione di<br />

un articolo in inserzioni dirette a propagandare rispettivamente una bibita e un libro (Putti c. Quaker Chiari e Forti, 19/1/88, est.<br />

Macioce; Zizola c. Pironti Editore, 3/10/88, est. Velardi)” (D’AMATI, Il lavoro.. cit., . 67).<br />

3 “Il direttore di giornale deve garantire la correttezza e la qualità dell’informazione, onde, a questo fine, è tenuto a verificare<br />

se la pubblicità sia chiaramente riconoscibile come tale, distinguendosi da ogni altra forma di comunicazione al pubblico<br />

mediante modalità grafiche facilmente riconoscibili. Nella suddetta verifica non rileva il grado di cultura <strong>dei</strong> lettori, essendo a<br />

tutti accordata tutela, con la conseguenza che, ove la stessa conduca a risultati negativi, il menzionato direttore deve impedire<br />

la pubblicazione del testo contenente la pubblicità, incorrendo altrimenti nelle sanzioni disciplinari previste dalla L. 3 febbraio<br />

1963 n. 69” (Cass. 20/10/2006 n. 22535).<br />

4 Il provvedimento in questione è pubblicato per esteso sul sito dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> <strong>Giornalisti</strong> della Lombardia, www.odg.mi.it.<br />

5 la Corte ha motivato la propria decisione rilevando che, nella fattispecie, ci si trovava di fronte “ad un’ipotesi di che viola la credibilità del giornale e lo stesso rapporto di fiducia con il lettore che deve presiedere la pubblicazione,<br />

in special modo, di uno <strong>dei</strong> maggiori settimanali di informazione. Situazione che, ad avviso del tribunale, assume una<br />

sicura rilevanza deontologica, giacchè si viene a ledere quel principio di lealtà nell’informazione cui, ex art. 48 L. 69/63, devono<br />

essere improntati i comportamenti del giornalista e, ancor più, del direttore”

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