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Art.50<br />

astratta, indicasse quale sanzione sarebbe stata<br />

adottata a fronte di una determinata infrazione 1 .<br />

Conseguentemente, l’editore era libero di decidere,<br />

di volta in volta, quale comportamento<br />

costituisse illecito disciplinare e quale no; se la<br />

mancanza fosse, o no, grave e la sanzione con<br />

cui ciascuna mancanza dovesse essere punita.<br />

Unica eccezione a questa situazione era rappresentata<br />

dalla violazione degli obblighi previsti dalla<br />

legge (per esempio, gli obblighi di diligenza e di<br />

fedeltà di cui agli artt. 2104 e 2105 c.c.), sempre<br />

che la violazione fosse talmente grave da configurare<br />

gli estremi del licenziamento (con o senza<br />

preavviso), ovvero dell’unica sanzione disciplinare<br />

prevista specificamente dalla legge 2 .<br />

Questa lacuna era stata talvolta colmata dalla<br />

248<br />

iniziativa dell’editore, che unilateralmente aveva<br />

predisposto un codice disciplinare 3 . Questi codici<br />

disciplinari unilaterali, se ancora esistenti, devono<br />

essere coordinati con la norma in esame, che<br />

introduce una disciplina che non può essere derogata,<br />

se non in senso migliorativo per il giornalista,<br />

da provvedimenti unilaterali dell’editore 4 .<br />

La procedura ex art. 7 S.L.<br />

Il Regolamento di disciplina, in primo luogo, richiama<br />

la procedura prevista dall’art. 7 S.L. per il<br />

caso in cui il datore di lavoro intenda sanzionare<br />

un proprio dipendente. A tale riguardo, bisogna<br />

subito precisare che la richiamata procedura disciplinare<br />

è pacificamente applicabile anche al<br />

licenziamento. Infatti, la Corte Costituzionale ha<br />

1 La giurisprudenza ha affermato l’illegittimità di codici disciplinari che, non prevedendo in modo sufficientemente chiaro ed<br />

esaustivo una correlazione tra infrazioni e sanzioni, lasciano al datore di lavoro l’insindacabile discrezione in ordine alla scelta<br />

della sanzione da adottare concretamente. In questo senso, si sono espressi: Cass. S.U. 24/5/85, in Mass. giur. lav. 1985, 396;<br />

Pret. Milano 27/5/86, in Lavoro 80 1986, 763; Pret. Parma 24/7/86, ivi 1986, 1156. Secondo Cass. 27/5/2004 n. 10201, in Dir.<br />

e prat. lav. 2004, 2741, bisogna distinguere tra illeciti relativi alla violazione di prescrizioni attinenti all’organizzazione aziendale<br />

e ai modi di produzione, conoscibili solamente in quanto espressamente previste, ed illeciti concernenti comportamenti manifestamente<br />

contrari agli interessi dell’impresa, per i quali non è invece richiesta la specifica inclusione nel codice disciplinare.<br />

In tale ultimo caso, dunque, è sufficiente che il codice disciplinare sia redatto in forma tale da rendere chiare le ipotesi di infrazione,<br />

sia pure dandone una nozione schematica e non dettagliata, e da indicare le correlative previsioni sanzionatorie, anche<br />

se in maniera ampia e suscettibile di adattamento secondo le effettive e concrete inadempienze. Secondo Trib. Benevento<br />

4/7/01, in Lavoro nelle p.a. 2001, pag. 1061, con nota di Salomone, Tre questioni sul procedimento disciplinare nella P.A., il<br />

giudice avrebbe invece sempre il potere di ridurre la sanzione.<br />

2 A tale riguardo, è stato chiarito che le sanzioni conservative, diverse dunque dal licenziamento, sono disciplinate dall’art.<br />

2106 c.c. in maniera solo generica; pertanto, questa norma esige, per il suo concreto esercizio, la predisposizione di un codice<br />

disciplinare (Cass. 21/3/96 n. 2453, in Lav. giur. 1996, 787). Salva questa eccezione, si è affermato che l’onere di pubblicità del<br />

codice disciplinare non può essere esteso a quei fatti il cui divieto risiede nella “coscienza sociale quale minimo etico” (Cass.<br />

21/3/96 n. 2453 cit.). Analogamente, è stato ritenuto che l’onere di pubblicità si applica al caso del licenziamento disciplinare<br />

soltanto quando questo sia intimato per specifiche ipotesi di giusta causa o giustificato motivo previste dalla normativa collettiva<br />

o validamente poste dal datore di lavoro, e non anche quando faccia riferimento a situazioni giustificative del recesso<br />

previste direttamente dalla legge (Cass. 8/2/00 n. 1412, in Orientamenti 2000, 479; Cass. 30/8/00 n. 11430, ivi 2000, 757; Pret.<br />

Milano, sez. Rho, 25/3/98, in D&L 1998, 1094). In senso contrario, è stato però affermato che la mancata affissione del codice<br />

disciplinare viola la regola procedurale di cui all’art. 7 c. 1 SL anche quando l’addebito disciplinare riguardi norme etiche<br />

o rilevanti penalmente. Da un lato, infatti, tale regola è espressione del principio fondamentale dell’ordinamento secondo il<br />

quale chi è perseguito per un’infrazione deve essere posto in grado di conoscere l’infrazione stessa e la relativa sanzione e,<br />

dall’altro, la norma etica o penale acquisisce anche rilievo disciplinare solo in forza di un’esplicita operazione di “costruzione”<br />

normativa, che richiede quantomeno l’introduzione, nel codice disciplinare pubblicizzato, di una norma di collegamento (Pret.<br />

Milano 14/7/94, in D&L 1995, 199).<br />

3 Rientra nel potere direttivo del datore di lavoro la predisposizione unilaterale di norme interne di regolamentazione attinenti<br />

all’organizzazione tecnica e disciplinare del lavoro nell’impresa, con efficacia vincolante per i prestatori di lavoro; tuttavia tali<br />

prescrizioni, ove non realizzino alcun apprezzabile interesse per l’impresa e arrechino danno o siano di ingiustificato disagio<br />

per i lavoratori, devono ritenersi arbitrarie e la loro violazione non configura una mancanza disciplinare tale da legittimare il licenziamento<br />

per giusta causa del lavoratore (Cass. 18/2/00, n. 1892, in Mass. giur. lav. 2000, 389, con nota di DE MARINIS).<br />

4 A tale riguardo, è stato per esempio affermato che la legittimità di una sanzione disciplinare, inflitta dal datore di lavoro per<br />

violazione di una disposizione unilateralmente impartita dallo stesso, richiede la dimostrazione dell’esistenza di uno specifico<br />

collegamento tra la disposizione predetta e le norme del contratto collettivo in tema di potere disciplinare (Cass. 27/4/87 n.<br />

4073, in Dir. e prat. lav. 1987, 2698).

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