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ciente considerare che la norma contrattuale non<br />

introduce nessuna limitazione al diritto in questione,<br />

richiedendo – come unico requisito – la<br />

celebrazione del matrimonio; pertanto, soddisfatto<br />

questo requisito, ogni altra considerazione<br />

costituirebbe una mera dietrologia, sfornita di<br />

qualunque aggancio con il tenore letterale della<br />

norma. A voler approfondire la questione, si potrebbe<br />

ancora osservare che anche il contestuale<br />

reperimento di una nuova occupazione non potrebbe<br />

considerarsi in contrasto con il diritto del<br />

giornalista all’indennità sostitutiva del preavviso<br />

e, quindi, non si potrebbe pensare che il giornalista,<br />

che abbia rassegnato le dimissioni a seguito<br />

di matrimonio ma trovando contestualmente una<br />

nuova occupazione, sortirebbe un ingiustificato<br />

arricchimento se ottenesse l’emolumento previsto<br />

dall’art. 24. A ben vedere, per esempio, la<br />

nuova occupazione potrebbe essere di natura<br />

autonoma, e quindi prevedere nuovi e diversi vincoli<br />

lavorativi, più compatibili con il nuovo stato<br />

coniugale. Oppure, quand’anche fosse di natura<br />

subordinata, la nuova occupazione potrebbe<br />

comunque essere scelta proprio in funzione della<br />

nuova condizione coniugale, vuoi perché il nuovo<br />

posto di lavoro è più vicino alla nuova casa<br />

coniugale, vuoi perché il giornalista ha ottenuto<br />

condizioni retributive o di orario più favorevoli rispetto<br />

agli impegni che conseguono al matrimo-<br />

145<br />

matrimonio e maternità<br />

nio. Si vede allora che se si entrasse nel merito<br />

della scelta del giornalista, che da un lato si è<br />

dimesso con richiesta del preavviso e dall’altra<br />

ha trovato una nuova occupazione, si dovrebbero<br />

effettuare indagini non solo di esito incerto, ma<br />

che – soprattutto – costituirebbero un’intrusione<br />

nella sfera privata del giornalista. Per questo<br />

motivo, evidentemente, le parti collettive hanno<br />

ritenuto condizione necessaria e sufficiente, a<br />

configurare il diritto all’indennità sostitutiva del<br />

preavviso, il sopravvenire dello stato coniugale,<br />

presupponendo dunque che un’eventuale nuova<br />

occupazione del giornalista sarebbe comunque<br />

più funzionale alla sua nuova condizione e non<br />

potrebbe caducare quel diritto 6 .<br />

Il trattamento della giornalista madre:<br />

in particolare, il divieto di licenziamento<br />

Più articolata e complessa è la legislazione riguardante<br />

la lavoratrice madre. In proposito, bisogna<br />

preliminarmente ricordare che l’art. 54 D.<br />

Lgs 151/01 vieta il licenziamento della lavoratrice,<br />

dall’inizio del periodo di gestazione fino al compimento<br />

di un anno di età da parte del bambino. A<br />

tale riguardo, la Corte Costituzionale ha dichiarato<br />

che il divieto in questione comporta la radicale<br />

nullità del licenziamento della lavoratrice madre,<br />

e non solo la sua temporanea inefficacia fino allo<br />

scadere del periodo di interdizione 7 . Per espressa<br />

6 Pret. Milano 6/11/95 in D&L 1996, 201, con nota di SCARPELLI e Trib. Milano 4/10/97, ivi 1998, 159, con nota di SCARPELLI,<br />

sia pur nel caso diverso di applicazione della clausola di coscienza ex art. 32 CNLG, hanno ritenuto l’irrilevanza, ai fini del diritto<br />

<strong>dei</strong> giornalisti dimissionari all’indennità sostitutiva del preavviso, del fatto che gli stessi avessero trovato contestualmente<br />

una nuova occupazione. Bisogna peraltro segnalare che, con riferimento alle dimissioni della lavoratrice madre, Cass. 19/8/00<br />

n. 10994, in Orientamenti 2000, 725, ha escluso il diritto della lavoratrice all’indennità sostitutiva del preavviso avendo il datore<br />

di lavoro provato che la stessa aveva, senza intervallo di tempo, iniziato un nuovo lavoro dopo le dimissioni, mentre la lavoratrice<br />

non aveva provato che il nuovo lavoro era per lei meno vantaggioso sul piano sia patrimoniale sia non patrimoniale.<br />

7 Corte Cost. 28/1/91 n. 61, in Foro it. 1991, I, 697. Dalla nullità del licenziamento, una parte della giurisprudenza ha concluso<br />

che la lavoratrice madre, illegittimamente licenziata, ha diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro ai sensi dell’art. 18 S.L., a<br />

prescindere dai requisiti dimensionali del datore di lavoro (Trib. Milano 9/2/00, in D&L 2000, 473; Pret. Milano 19/9/97, ivi 1998,<br />

193; Trib. Catania 23/11/94, ivi 1995, 433). Al riguardo è stato anche ritenuto che la nullità del licenziamento priva il recesso di<br />

qualunque effetto, con la conseguenza che il rapporto deve ritenersi giuridicamente pendente e il datore di lavoro inadempiente<br />

va condannato a riammettere la lavoratrice in servizio ed a pagarle tutti i danni derivanti dall’inadempimento, in ragione del<br />

mancato guadagno (Cass. 15/9/2004 n. 18537, in Lav. nella giur. 2005, con nota di Lucia Casamassima, 237. In senso analogo<br />

v. anche Trib. Milano 16/4/2002, in Lav. nella giur. 2003, 191). Altra parte della giurisprudenza ha, al contrario, ritenuto che, al di<br />

sotto <strong>dei</strong> requisiti dimensionali previsti dalla legge, non si applica la norma ora indicata e la lavoratrice ha diritto al risarcimento<br />

del danno, secondo i principi comuni, ai sensi dell’art. 1223 c.c. (Cass. 20/1/00 n. 610, ivi 2000, 449, con nota di MESSANA,<br />

Licenziamento della lavoratrice madre; Trib. Cassino 11/2/00, in Dir. lav. 2000, 376, con nota di PIETROPAOLI, La nullità del<br />

licenziamento della lavoratrice madre; Pret. Vallo della Lucania, sez. Agropoli, 5/2/98, in D&L 1998, 474).

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