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CoMMento<br />

Malattia e conservazione<br />

del posto di lavoro<br />

L’art. 2110 del codice civile stabilisce che, in caso<br />

di malattia, il datore di lavoro ha diritto di risolvere<br />

il rapporto di lavoro decorso il periodo “stabilito<br />

dalla legge, dagli usi o secondo equità”. Poiché<br />

nessuna norma di legge prevede quale sia la durata<br />

di tale periodo, l’individuazione dello stesso<br />

è demandata, in primo luogo, alla contrattazione<br />

collettiva.<br />

L’arco di tempo nel corso del quale deve essere<br />

conservato al dipendente malato il posto<br />

di lavoro viene definito come “periodo di comporto”;<br />

l’assenza può essere determinata da un<br />

unico evento morboso (ed in questi casi si parla<br />

di “comporto secco”), ovvero da una pluralità di<br />

eventi tra loro distinti (c.d. comporto frazionato<br />

o “per sommatoria”). Di regola ogni contratto<br />

collettivo indica quindi la durata massima del<br />

periodo di malattia entro cui il datore di lavoro<br />

è tenuto alla conservazione del posto di lavoro,<br />

distinguendo il caso della malattia continua e discontinua;<br />

può anche accadere che un contratto<br />

regolamenti solo una delle due ipotesi indicate<br />

(di regola il comporto secco), ed in tal caso spetta<br />

al Giudice individuare, in caso di contestazione,<br />

quale sia il termine entro il quale, in presenza<br />

di più episodi morbosi, risulti equa la conservazione<br />

del posto di lavoro 1 .<br />

Nel contratto giornalistico, le parti sembrano aver<br />

escluso la possibilità che il licenziamento sia determinato<br />

dalla malattia, quale che ne sia la durata,<br />

salvo che la stessa sia tale da rendere il gior-<br />

151<br />

nalista permanentemente inidoneo al lavoro.<br />

Infatti, il primo comma della norma, che regola<br />

l’ipotesi della malattia continuativa, parla di conservazione<br />

del posto “sino alla raggiunta idoneità”,<br />

disciplinando poi le conseguenze economiche<br />

del protrarsi della malattia. Il secondo<br />

comma, relativo alla malattia discontinua, si riferisce<br />

ai soli aspetti economici; in particolare,<br />

tale disposizione prevede che cessi l’erogazione<br />

della retribuzione al superamento di un periodo<br />

di malattia pari a 18 mesi nell’arco di un biennio,<br />

ma non che il lavoratore assente per un periodo<br />

superiore a quello indicato possa essere licenziato.<br />

Tale considerazione risulta rafforzata dal paragrafo<br />

in calce al secondo comma; non avrebbe<br />

senso, infatti, regolare il trattamento economico<br />

spettante al giornalista che abbia superato i diciotto<br />

mesi di assenza nel biennio se, in tale ipotesi,<br />

fosse possibile procedere al licenziamento<br />

del giornalista stesso.<br />

In definitiva, così come formulato il contratto<br />

giornalistico sembra escludere la possibilità, per<br />

il datore di lavoro, di risolvere il rapporto di lavoro<br />

in caso di “eccessiva morbilità” 2 .<br />

Quindi, i periodi indicati dal contratto sembrano<br />

doversi considerare solo al fine della determinazione<br />

delle indennità economiche spettanti, con<br />

la conseguenza che al superamento degli stessi<br />

verrebbe a cessare ogni obbligo retributivo.<br />

La disposizione contrattuale prevede invece la<br />

possibilità di licenziare il giornalista, con pagamento<br />

dell’indennità di mancato preavviso di cui<br />

all’art. 27, in caso di sopravvenuta inidoneità fisica<br />

allo svolgimento delle mansioni; tale previsione è<br />

conforme alla normativa legale 3 , ma presuppone<br />

1 “In relazione alla cosiddetta eccessiva morbilità, il comporto per sommatoria, ove la contrattazione non lo preveda e non vi<br />

siano usi utilmente richiamabili, va determinato dal giudice con impiego della cosiddetta equità integrativa” (Cass. 23/6/06 n.<br />

14633; conf. Cass. 14/10/93 n. 1031 in Dir. Prat. Lav. 1993, 3273).<br />

2 In giurisprudenza è stato precisato che “..anche nella ipotesi di reiterate malattie del dipendente, il datore di lavoro non può<br />

licenziarlo per giustificato motivo oggettivo, ai sensi dell’art. 3 della legge 15 luglio 1966 n. 604, ma può esercitare il recesso<br />

solo dopo il periodo all’uopo fissato dalla contrattazione collettiva, ovvero, in difetto, determinato secondo equità” (Cass.<br />

22/7/2005 n. 15508).<br />

3 “La sopravvenuta inidoneità permanente del lavoratore a svolgere le mansioni assegnategli trova la sua disciplina non già<br />

nell’art. 2110 c.c. – che presuppone un impedimento temporaneo a svolgere l’attività dovuta – bensì nella norma dell’art. 1464<br />

c.c., il quale, regolando gli effetti dell’impossibilità parziale della prestazione nei contratti sinallagmatici, prevede la possibilità<br />

del recesso dell’altra parte, ove questa non abbia un interesse apprezzabile a ricevere un adempimento parziale, con la conseguenza<br />

per l’imprenditore dell’azione di un giustificato motivo oggettivo di licenziamento..” (Cass. 7/1/1988 n. 8).

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