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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO - fasopo

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“un misto di approccio bottom up e top down. La fase bottom up consisteva nel<br />

consultare la società per chiedere informazioni, indicazioni e suggerimenti sulle<br />

politiche da adottare. Poi però era il comitato centrale del Fronte a formulare le politiche<br />

sulla base delle esigenze della lotta, e successivamente a guidare la loro<br />

implementazione. Era una tecnica mista di top down e bottom up, perché le persone<br />

venivano comunque coinvolte attivamente nell’implementazione delle politiche ed erano<br />

libere di criticarle” 351 .<br />

La tensione dell’avanguardia rivoluzionaria nell’interpretare e trasformare in<br />

programma politico i bisogni e le esigenze delle masse popolari, traspare nelle parole<br />

con cui i protagonisti descrivono il dibattito in seno al terzo Congresso del TPLF nel<br />

1989, durante il quale vengono discusse le basi politiche ed economiche su cui<br />

fondare il processo di transizione:<br />

“Ci chiedemmo: che cosa vuole la popolazione? Diventare socialista o diventare<br />

democratica? Il problema principale era la povertà. Il socialismo non aveva più sostegno<br />

né all’interno, né all’esterno del paese. Quella di abbandonarlo fu una decisione presa<br />

internamente, sulla base delle richieste ed inclinazioni della popolazione. Quando vedi<br />

che il marxismo non è più buono per la popolazione, lo abbandoni! Per cui non c’era più<br />

bisogno della MLLT: erano le menti stesse dei suoi componenti ad essere cambiate” 352 .<br />

Questa decisione viene inoltre rafforzata dalla consapevolezza che, l’esperienza<br />

del Derg ed il suo tentativo di costruire un’economia pianificata con le sue disastrose<br />

ricadute in termini di produzione agricola e aumento della povertà, di cui la carestia<br />

del 1984 costituisce la manifestazione più tragica, 353 rende di fatto impraticabile e<br />

non legittimabile qualsiasi opzione che si richiami al socialismo, come sottolinea<br />

Shebat Nega, che nel dopoguerra diventa il capo dell’Ufficio per gli affari economici<br />

dell’EPRDF:<br />

“Sotto il regime di Haile Selassie il socialismo veniva considerato un modello<br />

estremamente attraente, soprattutto per i giovani. Ma nel 1989 era diventato una<br />

mostruosità per tutta la popolazione. Di conseguenza in Etiopia non esistevano le basi<br />

per un nuovo sistema socialista. Ciò era evidente a tutti, non solo a qualche avanguardia<br />

particolare. La decisione fu infatti collettiva, altamente istituzionalizzata secondo la<br />

cultura politica dell’EPRDF. Venne organizzato un congresso in cui il Politburo presentò<br />

una programma che fu approvato dai delegati. Come per ogni cosa nell’EPRDF: la<br />

decisione è collettiva. Dopodichè c’è la messa in pratica da parte delle persone, che<br />

comporta che ognuno segua fedelmente la decisione presa” 354 .<br />

351 Intervista a Bitew Belai, ex direttore del Ufficio per gli affair regionali del Gabinetto del Primo<br />

Ministro, fuoriuscito dal partito nel 2001, Addis Abeba, 10 giugno 2008.<br />

352 Intervista a Fetlework “Buongiorno” Gebre Igzabehir, Axum Zonal Office, Axum, 29.06.08<br />

353 Cfr C. Clapham, Transformation and continuity in Revolutionary Ethiopia, op.cit. e J. W.Clay e B.<br />

K. Holcomb, Politics and the Ethiopian Famine 1984-1985, Cambridge (MA) : Cultural Survival,<br />

1986.<br />

354 Intervista a Sebhat Nega, “Father of revolution”, TPLF founder and former chairman, member of<br />

Central Committee, CEO of EFFORT, Addis Ababa, 16.07.08.<br />

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