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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO - fasopo

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“narrative imposte dall’uso strumentale della storia” 219 , con l’obiettivo di legittimare<br />

specifici progetti politici e determinati assetti istituzionali per lo stato etiopico.<br />

Nell’immediato dopoguerra si confrontano in particolare tre tesi: quella della nation<br />

building, quella della national oppression e quella coloniale.<br />

I sostenitori della prima tesi, interpretano l’azione di centralizzazione del potere<br />

e formazione di uno stato moderno, perfezionata da Menelik e Haile Selassie, come<br />

inevitabile processo di unificazione e creazione di un’unica identità nazionale nel<br />

contesto di un’area storicamente omogenea, continuando e perfezionando la “grande<br />

tradizione” imperiale. Questa idea si fonda sulla parziale semplificazione o<br />

storpiatura dell’idea di Donald Levine di una “Greater Ethiopia”, sintesi del “raccolto<br />

di popolazioni (Tigrini, Amhara e Oromo) con profonde affinità storiche” 220 , e sulla<br />

storiografia che si sviluppa tra la seconda guerra mondiale e gli anni ’70, in clima di<br />

creazione del nazionalismo africano e sotto il progetto di rafforzamento dello stato e<br />

del sentimento nazionale intrapreso da Haile Selassie, di cui viene esaltato il ruolo di<br />

innovatore nel solco della tradizione modernizzatrice della monarchia etiopica 221 .<br />

Alla base dell’oscillare dei fautori di questa tesi tra posizioni multietniche e<br />

tendenze ad esaltare la cultura amhara, risiede la plasticità della natura dell’etnia<br />

amhara, e da quella che Siegfrid Pausewang - riprendendo l’analisi di Sevir<br />

Chernetsov - definisce la sua “identità dal doppio volto” 222 : da un lato assimilabile ad<br />

un gruppo etnico, o nazionale, che coincide con la popolazione, a grande<br />

maggioranza rurale, che abita nei territori entro i confini dell’attuale Stato regionale<br />

Amhara; dall’altro identifica una classe dirigente che assimila individui appartenenti<br />

a qualsiasi gruppo etnico, ma le cui ambizioni di ascesa sociale e politica passano per<br />

l’adozione dell’Amarico come lingua, per la conversione alla religione Cristiana<br />

Ortodossa e per l’adesione alla cultura di corte. Un identità spesso accompagnata da<br />

un senso di superiorità e la convinzione di una missione civilizzatrice nei confronti<br />

degli altri gruppi etnici, delle altre tribù. L’identità Amhara finisce così per coincidere<br />

con la cultura delle élites istruite, generalmente appartenenti alla popolazioni urbane,<br />

219 C. Clapham, “Rewriting Ethiopian History”, in Annales d’Ethiopie, Vol. XVIII, Centre Français des<br />

Etudes Ethiopiennes, 2002, p. 45.<br />

220 D. N. Levine, Greater Ethiopia: The Evolution of a Multiethnic Society. Chicago, University of<br />

Chicago Press, 1974, p. 46.<br />

221 Cfr ad esempio B Zewde, Pioneers of Change in Ethiopia: The Reformist Intellectuals of the Early<br />

Twentieth Century, Ohio University Press, 2002.<br />

222 Cfr S. Pausewang “The Two-faced Amhara Identity”, in Scrinium. Revue de Patrologie,<br />

d'Hagiographie Critique et d'Histoire Ecclèsiastique. no. 1 pp. 273-286, 2005.<br />

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