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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO - fasopo

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l’Etiopia viene a trovarsi sul fronte opposto della guerra fredda rispetto ai paesi occidentali,<br />

che rappresentano i donatori tradizionali e che controllano le istituzioni di Bretton Woods,<br />

comporta una trasformazione nella composizione degli aiuti, senza alternarne tuttavia<br />

significativamente peso e volume. Innanzitutto si assiste al gioco tra le parti per cui nel<br />

1984 il Congresso degli Stati Uniti decide di escludere l’Etiopia dall’aiuto pubblico<br />

americano, ma questa cancellazione viene compensata dall’intervento di altri governi<br />

europei 411 , ed in particolare dell’Italia. Questa, nella divisione del lavoro tra paesi<br />

occidentali è incaricata infatti di presidiare il fronte etiopico, anche attraverso il<br />

finanziamento di programmi controversi promossi dal Derg, come quelli di resettlement<br />

(reinsediamento) e villagizzazione 412 . Inoltre i governi occidentali non esitano ad<br />

intervenire con un “massiccio investimento umanitario” in occasione della carestia del<br />

1984-85, ricorrendo al canale più neutro, e meno imbarazzante politicamente, delle<br />

organizzazioni non governative internazionali, ma, di fatto, contribuendo a “salvare il<br />

regime”, evitandone la capitolazione sotto i colpi della fame e della guerra civile 413 . Al<br />

tempo stesso - come descritto nel primo capitolo - in occasione della carestia del 1984-85<br />

non solo il governo del Derg, ma anche i movimenti armanti del TPLF e EPFL si<br />

dimostrano particolarmente abili nello sfruttare il canale considerato neutrale e tecnico<br />

delle organizzazioni umanitarie internazionali per accedere alle risorse necessarie alla<br />

sopravvivenza della popolazione e al controllo del territorio.<br />

La fine del regime del Derg e la necessità di ricostruire un paese martoriato da<br />

diciassette anni di guerra civile aprono nuove prospettive per le strategie di extraversione,<br />

confermando al tempo stesso diverse delle sue pratiche tipiche del contesto etiopico. Il mito<br />

dei New African Leaders africani “attrae l’attenzione dei donatori ansiosi di contribuire a<br />

delle success stories africane piuttosto che vedere i loro aiuti sparire senza traccia nei paesi<br />

gestiti e guidati malamente” 414 . Così a partire dagli anni novanta i flussi di aiuti bilaterali e<br />

multilaterali tornano a privilegiare i canali governativi, presentandosi soprattutto sotto<br />

forma di programmi per la ricostruzione post-bellica 415 . Gli interventi umanitari legati<br />

all’insicurezza alimentare ed alle siccità che ciclicamente colpiscono il paese continuano a<br />

rappresentare un terzo del volume totale dell’aiuto pubblico allo sviluppo destinato<br />

all’Etiopia.<br />

411 Cfr Clapham, Transformation and continuity in revolutionary Ethiopia, op.cit. p. 238.<br />

412 Cfr M. Tommasoli, Lo sviluppo partecipativo, op.cit., in particolare il capitolo 6.<br />

413 Secondo le espressioni di C. Clapham, Transformation and continuity, op.cit. ,p. 239.<br />

414 M. Ottaway, Africa’s New Leaders, op.cit., p. 1-2.<br />

415 Cfr S.Vaughan, The culture of power in contemporary Ethiopia, op.cit. p. 20<br />

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