UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO - fasopo
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africane 700 , il decentramento in Etiopia finisce quindi per mettergli un freno, proponendo<br />
l’estensione dell’esperienza del Tigray rivoluzionario alle altre regioni, e imponendo le<br />
direttive della sua classe dirigente.<br />
Tuttavia i limiti della replicabilità di questo modello in altre regioni del paese che la<br />
cui traiettoria non transita per l’esperienza di una rivoluzione popolare come quella del<br />
Tigray 701 , vengono amplificati dalla continuità della struttura della pubblica<br />
amministrazione con i regimi precedenti, dalla continua rinegoziazione di cui è oggetto il<br />
patto clientelare tra l’élite nazionale e quelle locali, e dalla scarsa efficacia della gestione<br />
clientelare delle risorse e dall’inerzia della società civile.<br />
L’azione simultanea di questi fenomeni erode la legittimità del potere dell’EPRDF,<br />
indebolendone il consenso presso la popolazione, come dimostrato in occasione delle<br />
elezioni nazionali del 2005. A questa “crisi di legittimità”, il governo ha reagito innalzando<br />
il vessillo della good governance attraverso il decentramento amministrativo, in parte per<br />
recuperare credito e legittimità nei confronti della comunità internazionale, ma soprattutto<br />
con l’obiettivo di riguadagnare consenso e controllo della popolazione. L’ambiguità di<br />
questo disegno è sintomatica di come la modalità di governo dell’Etiopia contemporanea<br />
possa essere efficacemente riassunta nella formula del “paradigma dell’insicurezza”.<br />
L’insicurezza regna innanzitutto all’interno della classe dirigente e interroga<br />
l’EPRDF in merito al reale consenso del suo governo presso la popolazione ed in<br />
particolare quelle che, fino al tonfo elettorale del 2005, considerava le sue constituencies<br />
tradizionali: i giovani e le masse contadine. L’allargamento della base del partito attraverso<br />
la campagna di reclutamento condotta negli ultimi anni amplifica queste preoccupazioni, in<br />
considerazione dell’opportunismo di molte adesioni e dell’ambiguità insita nelle relazioni<br />
della popolazione rurale con l’autorità ufficiale, di fronte alla quale “si inchina<br />
rispettosamente e scoreggia silenziosamente”, come recita un proverbio etiopico.<br />
Il timore dell’accerchiamento e della defezione maturato negli anni della lotta armata<br />
alimenta inoltre il culto del sospetto che secondo molti osservatori caratterizza la “cultura<br />
politica etiopica”. L’azione congiunta di queste percezioni obbliga l’élite termidoriana ad<br />
un dispendioso lavoro di coercizione e controllo, che diventa la principale occupazione<br />
della pubblica amministrazione a scapito degli investimenti nei servizi e nello sviluppo. Di<br />
conseguenza, l’insicurezza investe anche il funzionamento interno della burocrazia, i cui<br />
membri sono sottoposti ad un’azione di costante indottrinamento, monitoraggio e sanzione,<br />
700 E. Le Bris, T. Paulai, “Introduction thématique. Décentralisation et développements”, op. cit., p. 23.<br />
701 J. Young, Regionalism and democracy in Ethiopia, op. cit., p. 196.<br />
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