Rivista Diritto penale 21 sec. n. 2-2006 - Cedam
Rivista Diritto penale 21 sec. n. 2-2006 - Cedam
Rivista Diritto penale 21 sec. n. 2-2006 - Cedam
Create successful ePaper yourself
Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.
paolo pittaro<br />
Il codice <strong>penale</strong> albanese: un’introduzione<br />
22 stabilisce che «l’illecito <strong>penale</strong> si considera tentato quando, nonostante l’agente<br />
compia atti diretti a commetterlo, esso s’interrompe e non si conclude per circostanze<br />
indipendenti dalla volontà dell’agente». Il successivo art. 23 ne stabilisce<br />
la <strong>penale</strong> responsabilità e la relativa sanzione, mentre l’art. 24 prevede la c.d.<br />
desistenza volontaria; registriamo, invece, la mancata previsione del recesso attivo.<br />
La definizione del tentativo, a nostro avviso, non è affatto felice. E non alludiamo<br />
all’assenza di una qualificazione degli atti (quasi sciovinisticamente richiamandone<br />
la idoneità e la non equivocità di cui al nostro art. 56), quanto al<br />
fatto che, testualmente, «l’illecito si interrompe e non si conclude». Ora, la<br />
congiuntiva «e» restringe la previsione al solo tentativo incompiuto, mentre,<br />
invece, la disgiuntiva «o» l’avrebbe estesa anche a quello compiuto. La questione,<br />
come appare evidente, è di notevole portata: svista letteraria ovvero<br />
precisa volontà del legislatore? Nessun accenno peraltro ad una fattispecie assimilabile<br />
al nostro reato impossibile.<br />
Ampia la discrezionalità nell’applicazione della relativa pena: l’art. 23, infatti,<br />
afferma che «il tribunale, tenuto conto del grado di similarità della conseguenza<br />
e delle cause per cui il crimine è rimasto allo stadio del tentativo, attenua<br />
la pena e può abbassarla al di sotto del minimo previsto dalla legge oppure<br />
individua una specie di pena più tenue di quella prevista dalla legge».<br />
Il Capo IV tratta il concorso di persone nel reato. L’art. 25 ne disciplina il<br />
significato, affermando che «il concorso è la commissione di un illecito <strong>penale</strong><br />
da parte di due o più persone in comune accordo tra loro». Invero, anche questa<br />
definizione non va esente da perplessità: la necessità del «comune accordo»<br />
richiamerebbe la visione, alquanto rozza, del «previo concerto» e quella<br />
del dolo di tutti nei confronti di tutti. D’altra parte, il codice appare molto<br />
sensibile alla partecipazione criminosa, venendo, da un lato, a delineare lefigure<br />
dei concorrenti, tratteggiando quelle degli organizzatori, degli e<strong>sec</strong>utori,<br />
degli istigatori e degli ausiliatori (art. 26), stabilendone la pari responsabilità e<br />
demandando al giudice, ai fini della determinazione della pena dei concorrenti,<br />
di tener conto del grado di partecipazione di ciascuno e del ruolo avuto nella<br />
commissione dell’illecito <strong>penale</strong> (art. 27), e, dall’altro lato, nel raffigurare le<br />
La preparazione e il tentativo sono puniti <strong>sec</strong>ondo le disposizioni della legge <strong>penale</strong> che disciplinano<br />
l’illecito <strong>penale</strong> compiuto.<br />
Nella determinazione della pena per la preparazione e il tentativo il tribunale deve prendere<br />
in considerazione il grado di preparazione dell’illecito, la similarità delle conseguenze, nonché le<br />
cause per cui l’illecito non è stato compiuto, e può abbassare la pena al di sotto del minimo previsto<br />
dalla legge per quell’illecito».<br />
S E Z I O N E<br />
PENALISTICA<br />
<strong>21</strong>1