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Rivista Diritto penale 21 sec. n. 2-2006 - Cedam

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S E Z I O N E adelmo manna<br />

PENALISTICA L’imputabilità nel codice <strong>penale</strong> albanese del 1995<br />

226<br />

che porsi in contraddizione proprio con l’apertura ai disturbi psichici, in<br />

quanto, come ricordato, questi ultimi in genere incidono sulla capacità di volere<br />

e non anche sulla capacità di intendere.<br />

Ulteriore rilievo che può muoversi alla formulazione dell’art. 17, primo<br />

comma, del codice <strong>penale</strong> albanese, è quello relativo alla formulazione della<br />

capacità di intendere, descritta infatti come capacità di «comprendere che stava<br />

commettendo un illecito <strong>penale</strong>».<br />

Sembra dunque che fra la teoria della «colpevolezza», che richiede la possibilità<br />

di conoscere la norma <strong>penale</strong>, e quella del «dolo», che richiede, invece,<br />

l’effettiva conoscenza della norma <strong>penale</strong> medesima, che si sono, come è noto,<br />

contese il campo soprattutto in tema di errore di diritto ( 11 ), il legislatore albanese<br />

abbia decisamente optato, in materia di imputabilità, per la teoria del dolo,<br />

nonostante che, in tema di ignoranza della legge, il precedente art. 4 mostri<br />

chiaramente di aderire all’opposta teoria della colpevolezza ( 12 ).<br />

Ciò, peraltro, non dovrebbe meravigliare, atteso che in altri codici penali,<br />

come, in primo luogo quello tedesco, poi ripreso da quello portoghese e dallo<br />

spagnolo ( 13 ), il legislatore abbia preferito riferirsi alla capacità di valutare l’illiceità<br />

del fatto, così ponendosi in una direzione assai simile – seppure, magari,<br />

meno «decisa» –a quella poi adottata anche dal codice <strong>penale</strong> albanese.<br />

Anche da noi, in sede di riforma, si è dibattuta la relativa questione giacché,<br />

in particolare, nella versione originaria del Progetto Grosso di riforma del<br />

codice <strong>penale</strong> italiano, si era preferito utilizzare la formula relativa alla incapacità<br />

di comprendere «il contenuto illecito del fatto» ( 14 ).<br />

A causa, tuttavia, di alcune critiche avanzate in dottrina, che avevano evidenziato<br />

l’equivocità, se non addirittura, l’inesattezza dell’indicazione: «possibilità di<br />

( 11 ) Cfr., di recente, sul tema, Belfiore, Contributo alla teoria dell’errore in diritto <strong>penale</strong>,<br />

Torino, 1997, 129 ss.<br />

( 12 ) Che infatti, così recita: «L’ignoranza della legge che punisce l’illecito <strong>penale</strong> non costituisce<br />

motivo di esclusione della responsabilità <strong>penale</strong>, salve le ipotesi in cui l’ignoranza è oggettivamente<br />

inevitabile», così mostrando di aderire, in sostanza, anche ai ben noti postulati della<br />

celebre sentenza della Corte costituzionale italiana, n. 364 del 1988, in Foro It., 1988, I, 1385 ss.,<br />

con nota di Fiandaca; inRiv. It. Dir. e Proc. Pen., 1988, 686 ss., con nota di Pulitanò; edin<br />

Legisl. Pen., 1988, 449 ss., con nota di Padovani.<br />

( 13 ) Cfr., a questo proposito, il § 20 de Il codice <strong>penale</strong> tedesco, cit., 61; l’art. 20 de Il codice<br />

<strong>penale</strong> portoghese, introd. di de Figueiredo Dias, trad. di Torre, Padova, 1997, 73; nonché<br />

l’art. 20 de Il codice <strong>penale</strong> spagnolo, introd. di Quintero Olivares, trad. di Naronte, Padova,<br />

1997, 55.<br />

( 14 ) Cfr. Grosso (a cura di), Per un nuovo codice <strong>penale</strong>, II, Relazione della Commissione<br />

Grosso (1999), Padova, 2000, 71.

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