Rivista Diritto penale 21 sec. n. 2-2006 - Cedam
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marilda bertoli<br />
Tra fedeltà al testo ed efficace resa linguistica<br />
nella trasposizione italiana è divenuta «prova che si sa essere decisiva sull’innocenza».<br />
Ancora, il problema si pone, in modo emblematico, con riferimento<br />
alla locuzione «legge conosciuta pubblicamente», utilizzata nelle norme che<br />
tutelano il segreto statale (artt. 294-295), per indicare la condizione indispensabile<br />
per integrare tali crimini, ovvero che il soggetto conosca il carattere riservato<br />
delle informazioni proprio sulla base della pubblicazione di quelle disposizioni<br />
speciali (ma sempre legali), con cui vengono individuate le informazioni<br />
di tipo militare, politico o economico che costituiscono segreto di Stato,<br />
nonché le regole per la loro conservazione e amministrazione.<br />
Sul medesimo piano si pone anche un altro caso: l’art. 62 e l’art. 63 prevedono<br />
che «la pena inflitta si considera come mai esistita» quando il provvedimento<br />
di sospensione dell’e<strong>sec</strong>uzione della pena detentiva (con messa in prova<br />
del condannato) non viene revocato e, rispettivamente, quando viene compiuto<br />
il lavoro di pubblica utilità. Anche se dal punto di vista tecnico tale locuzione<br />
sembra riferirsi alle ipotesi in cui la pena è«giuridicamente inesistente», dal<br />
punto di vista del linguaggio giuridico l’espressione utilizzata dal legislatore albanese<br />
è sicuramente ben lontana da questa precisione.<br />
2. Rubrica degli articoli, dei capi e delle sezioni. – In linea con la nuova Costituzione<br />
(entrata in vigore nel 1998), la riforma del 2001 del codice <strong>penale</strong> ha<br />
cercato di imporre una maggiore attenzione ai principi costituzionali.<br />
Nonostante le nuove norme introdotte (v. ad es. artt. 1/a, 1/b, 1/c) presentino<br />
un’impostazione moderna e aperta alle nuove istanze, continuano ad essere<br />
connotate da una certa carenza di tecnicismo giuridico. Troviamo così l’art.<br />
1/b rubricato «Doveri della legislazione <strong>penale</strong>», con riferimento al quale una<br />
ricerca volta al giusto livello semantico per le esigenze del linguaggio giuridico<br />
avrebbe dovuto sconsigliarci l’utilizzo del termine «dovere», con cui si intende<br />
l’obbligo di fare qualcosa, a beneficio dell’espressione «scopo», terminologia,<br />
quest’ultima, certamente più tecnica dato che sottolinea un proposito che si<br />
vuole raggiungere e alla cui realizzazione è volta l’azione del diritto <strong>penale</strong>.<br />
Non è stata impresa facile rendere con formule sintetiche, e con la pretesa<br />
di aderire in maniera rigida alla formulazione letterale delle norme, la rubrica<br />
di numerose fattispecie.<br />
Le difficoltà sono connesse a due ordini di motivi.<br />
In primo luogo, la lingua albanese (appartenente alla famiglia delle lingue<br />
indoeuropee) presenta, fra le altre caratteristiche, quella di ottenere la negazione<br />
della parola tramite la composizione del sostantivo con un prefisso, che a<br />
volte trova una parola corrispondente nella lingua italiana, mentre altre volte<br />
comporta situazioni lessicali disomogenee. Sono costruite in questo modo le<br />
S E Z I O N E<br />
PENALISTICA<br />
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