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l'istituto italiano per gli studi filosofici e gli studi di economia

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intervento capace <strong>di</strong> rendere la “emigrazione intellettuale”, che<br />

comunque è destinata a <strong>per</strong>manere nel Mezzogiorno, meno socialmente<br />

regressiva.<br />

Non riesco a darmi pace quando constato quanti giuristi, magistrati,<br />

ingegneri, finanzieri, commercialisti meri<strong>di</strong>onali si <strong>di</strong>stinguono<br />

<strong>per</strong> acume, ingegno, laboriosità a Roma od a Milano, e<br />

quanti, dotati allo stesso modo, sono costretti a ricercare nel Mezzogiorno<br />

tipi <strong>di</strong> impiego precari, d’occasione, poco qualificanti.<br />

Sono consapevole che politiche <strong>di</strong> questo tipo mi<strong>gli</strong>orerebbero la<br />

efficienza allocativa me<strong>di</strong>a dei laureati, ma porterebbero scarsi<br />

effetti nel Mezzogiorno. Ma credo valga la pena considerare <strong>gli</strong> alti<br />

costi umani e sociali che il sistema attuale produce.<br />

C’è <strong>per</strong>ò in questo ambito un problema che va debitamente sottolineato,<br />

abbandonando <strong>per</strong> il momento la <strong>di</strong>stinzione fra lavoro<br />

<strong>di</strong>pendente e lavoro autonomo.<br />

L’evidenza statistica ci <strong>di</strong>ce che nel Mezzogiorno l’ingresso nel<br />

mercato del lavoro <strong>di</strong>pendente è piú <strong>di</strong>fficile che altrove, e che l’ingresso<br />

nell’universo delle imprese è piú facile che altrove, ma è<br />

destinato ad esaurirsi in gran parte dopo pochi anni.<br />

Su questo fronte <strong>per</strong>ò c’è davvero qualcosa <strong>di</strong> nuovo. Leggerei in<br />

questo senso una piú forte vocazione a s<strong>per</strong>imentarsi in imprese<br />

coo<strong>per</strong>ative da un lato, e la enorme ine<strong>di</strong>ta <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> capitale<br />

<strong>di</strong> rischio in dotazione dei cosiddetti fon<strong>di</strong> <strong>di</strong> “private equity” la cui<br />

attenzione verso l’area appare me<strong>gli</strong>o <strong>di</strong>sposta oggi <strong>di</strong> quanto non lo<br />

fosse ieri.<br />

Su un altro versante, sarei indotto a pensare che una coraggiosa<br />

ripresa <strong>di</strong> politiche come quella dei “prestiti d’onore”, ed una riformulazione<br />

del ruolo e dell’importanza dei “consorzi fi<strong>di</strong>” onde renderli<br />

piú attenti alle esigenze del capitale circolante delle imprese<br />

appena nate, potrebbero avere risultati non solo positivi, ma anche<br />

maggiori del passato.<br />

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