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l'istituto italiano per gli studi filosofici e gli studi di economia

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– rapporto <strong>di</strong> convivenza, che si verifica quando l’impresa legale<br />

cerca <strong>di</strong> non ostacolare quella mafiosa trovando un “modus<br />

viven<strong>di</strong>”: non partecipando, ad esempio, a certe gare <strong>di</strong> pubblici<br />

appalti;<br />

– rapporto <strong>di</strong> scambio nel quale, ferma restando l’autonomia<br />

delle due imprese, il favore o il servizio reso da quella legale<br />

viene ricambiato con un altro favore o servizio prestato dall’impresa<br />

mafiosa;<br />

– rapporto <strong>di</strong> collaborazione associativa, quando le due imprese<br />

hanno comuni rapporti <strong>di</strong> affari e collaborano tra loro. Si pensi<br />

all’impresa legale che subappalta lavori ad imprese mafiose od<br />

al caso <strong>di</strong> Parmalat che, prima del suo <strong>di</strong>ssesto, aveva affidato la<br />

<strong>di</strong>stribuzione dei propri prodotti, nel casertano, al clan dei casalesi<br />

che avevano estromesso dal territorio tutti i prodotti <strong>di</strong> altre<br />

marche, con notevoli profitti <strong>per</strong> Parmalat, pur costretta a<br />

pagare il pizzo. Lo stesso si era verificato in un Comune campano<br />

<strong>per</strong> la <strong>di</strong>stribuzione del pane;<br />

– rapporto <strong>di</strong> compartecipazione: quello sopra descritto con riferimento<br />

all’impresa a partecipazione mafiosa.<br />

L’impresa della mafia ha, poi, proprie funzioni obiettivo e <strong>di</strong>spone<br />

<strong>di</strong> adeguati strumenti <strong>per</strong> realizzarle.<br />

Quelle funzioni sono: il profitto; il controllo del territorio; il<br />

riciclaggio ed il conseguente reinvestimento; l’acquisizione <strong>di</strong><br />

quote sempre piú ampie <strong>di</strong> mercato; la gestione illegale del lavoro<br />

anche a causa dei ristretti spazi <strong>di</strong> intervento consentiti alle organizzazioni<br />

sindacali. Viene in mente, in proposito, un fatto accaduto<br />

nel 1959 quando alla CGIL fu impe<strong>di</strong>to <strong>di</strong> presentare una<br />

propria lista <strong>per</strong> la commissione interna nell’azienda Elettronica<br />

Sicula costituita a Palermo da un impren<strong>di</strong>tore genovese. Il <strong>di</strong>vieto<br />

era stato posto dal mafioso Paolo Bontate (detto Paolino Bontà).<br />

Alle proteste dei sindacalisti il <strong>di</strong>rettore dell’azienda si giustificò<br />

col <strong>di</strong>re: «A me Paolino Bontà serve, <strong>per</strong>ché è lui che mi dà l’ac-<br />

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