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Post/teca<br />

sassi, ecco, ora per lui la libertà appare come un Canto d’aprile: «Noi<br />

cantiamo perché teniamo duro / il nostro morire è per il nascere dei figli /<br />

quando cantiamo alziamo lontano / dal buio del bosco al cielo d’aprile / il<br />

fuoco del nostro sangue, per il domani». Forse, la vera libertà, per Cappello, è<br />

proprio nella poesia: «Una libertà vastissima ma dettata dall’indifferenza dei<br />

più. E non solo: c’è poco confronto anche tra la comunità dei poeti. Eppure, la<br />

poesia ha in sé tutti i tempi di questa civiltà: testi brevi come gli slogan<br />

pubblicitari, ad esempio. Con una differenza: la poesia porta in sé la postura<br />

dei sentimenti che vengono rimossi. La poesia ha in sé, insieme, l’idea di<br />

morte e vita. E questo rappresenta la sua forza irripetibile». «La poesia è una<br />

forma di resistenza perché ti insegna a sentire le cose senza appropriartene:<br />

illumina le cose da dentro e le libera. La vera poesia in qualsiasi modo si<br />

esprima è sempre fuori mercato. Per questo è pericolosa e disturba il potere».<br />

Pierluigi Cappello parla lentamente, scandendo le parole, sottovoce. Se esiste<br />

un’idea di poeta, quest’uomo sofferente dal volto di ragazzo fragile sembra<br />

incarnarne tutte le stigmate: tormento, tenerezza, profondità, in Cappello<br />

diventano carne, occhi, voce. Non è un caso che l’incontro con la poesia sia<br />

avvenuto come un’epifania quand’era poco più che bambino. Un destino che<br />

ha il nome di una insegnante delle medie, Mariarosa Famiglietti: gli ha fatto<br />

scoprire la Chanson de Roland, Omero, Ariosto.<br />

RUOLO CIVILE - Poi l’incidente, ma il seme era piantato. «Ho trasformato<br />

l’immobilità in un’opportunità» dice sorridendo. E poi: «Stiamo seppellendo<br />

ogni cosa sotto una colata di clamore. È il trionfo della società mediatica.<br />

Nutriamo una malsana paura del silenzio. Un silenzio vivo che confondiamo<br />

con il vuoto». È strano. Ascoltando la voce di Cappello, anche il silenzio in<br />

questa piccola stanza sembra diventare materia da accarezzare. Il tempo in<br />

questo pomeriggio d’estate appare sospeso e ogni dettaglio assume contorni<br />

inaspettati: il caldo torrido e la sua carrozzina sembrano svanire. Con un<br />

gesto prende in mano il suo libro e legge: «Scrivere come sai dimenticare /<br />

scrivere e dimenticare / Tenere un mondo intero sul palmo /e dopo soffiare».<br />

«Una postura del poeta è quella dell’ascolto - continua -. Chiunque scriva ha<br />

una necessità con se stesso. Talvolta, per alcuni, c’è un io che ha la necessità<br />

di diventare noi. È un io in risonanza». Pierluigi Cappello è così: un<br />

incantatore tenero e determinato nel difendere l’idea di un ruolo civile, il suo.<br />

Forse, la sua forza sta proprio in quel «Noi», in quella risonanza che Cappello<br />

riesce ad avocare. E, ironizzando, non concede spazi neanche ai nuovi<br />

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