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Post/teca<br />

Luciano Erba, la poesia<br />

di un maestro segreto<br />

Lo scenario era un festival letterario, qualche anno fa, dove un gruppo di autori<br />

spagnoli parlavano al pubblico dei loro libri, ma soprattutto di politica, di grandi<br />

sistemi, scenari internazionali. A un certo punto un elegante signore dai capelli<br />

bianchi, corti, fitti e ordinati, e l'aria lievemente annoiata, rivolse una domanda<br />

assai pacata, forse un po' ironica: «Ma non vi sembra un po' riduttiva, tutta questa<br />

gabbia politica, per uno scrittore?». Era Luciano Erba, il poeta che nel 60 aveva<br />

scritto una raccolta destinata a battezzarne anche oltre il dovuto un profilo critico:<br />

Il male minore.<br />

È stato sempre fedele a un principio che amava riassumere così: «tutta la vita, a<br />

partire dalla mia famiglia, mi sono spinto a rifiutare i fasti gotici di una certa scuola,<br />

preferendo i piccoli dettagli della realtà di ogni giorno. Quelli che appartengono a<br />

una società intera», come fece ricevendo un premio alla poesia «civile». È morto<br />

l'altra sera nella sua casa milanese, a 87 anni; per mezzo secolo è stato uno di quei<br />

maestri segreti che hanno nutrito nel profondo una lunga stagione della nostra<br />

poesia. Il «male minore» gli ha anche un po' nuociuto, visto che sulla base di<br />

un'evidente assonanza qualche critico che non lo amava ha finito per considerarlo<br />

un epigono montaliano; e il gusto per l'ironia, sempre leggera, elegante, metafisica,<br />

ne ha fatto un caso atipico nel panorama italiano.<br />

Dal suo esordio nel 51 con Linea K alla grande antologia personale del 2000,<br />

Terre di mezzo, passando per libri con Il nastro di Moebius e L'ippopotamo, quasi<br />

un trattato morale per microimmagini (dell'89), Erba ha pubblicato relativamente<br />

poco, distillando una poesia che emergeva quando voleva lei, attenta alla grande<br />

tradizione italiana (Novecento compreso) lontana dalle ideologie, legata a un clima,<br />

a una terra e anche a una certa idea di Milano. Fra i suoi versi c'è anche una sorta di<br />

congedo, severamente bonario: «Questi ultimi anni avuti in premio/ hanno a volte<br />

il gusto un poco sfatto/ di certe scatolette di tonno/ che si mangiano ai bordi del<br />

torrente/ sull'erba corta, dopo una camminata:/ il vino è fresco/ la bottiglia tra sassi<br />

e corrente».<br />

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