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Post/teca<br />

un'equidistanza rispetto alle varie posizioni della ricezione shakespeariana di matrice nazionale o<br />

estera, whig o tory, anglicana o protestante, scientifica o esperienziale; una personale ed<br />

equilibrata articolazione del cosiddetto Victorian medievalism, depurato da taluni eccessi<br />

intellettualistici o spiritualistici; una sempre crescente consapevolezza del ruolo istituzionale della<br />

shakesperotics "cattolicamente ispirata", con funzione eminentemente critica nei confronti delle<br />

istituzioni shakespeariane dominanti in quel periodo e dei maître-à-penser più attivi e più autorevoli<br />

in quell'ambito.<br />

In quest'ultima prospettiva andrebbero più accuratamente indagati sia gli interminabili dibattiti coevi<br />

sull'effettivo credo religioso del Bardo; sia, per quanto riguarda Hopkins, il suo sonetto incompiuto<br />

Shakspere, che risale al 1865 e costituisce un importante ed emblematico contributo, seppure<br />

tardivo, al tricentenario shakespeariano celebrato nel 1864.<br />

Un'indagine su quel testo poetico confermerebbe quanto ricordava Romano Guardini al termine di<br />

una breve ma illuminante serie di Riflessioni Estetico-Teologiche sul sonetto The Windhover:<br />

"Hopkins (...) non soltanto era continuamente colpito dalla potenza delle forme, ma trascorreva un<br />

tempo considerevole, ogni giorno, immerso nella meditazione religiosa. Da questa meditazione<br />

scaturiva una sorgente di vivide rappresentazioni, orientate verso la realtà della fede, che<br />

potevano poi confluire in ogni pensiero e azione della giornata".<br />

(©L'Osservatore Romano - 26 agosto 2010)<br />

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15/07/09<br />

La fine del tempo<br />

di amedeo balbi<br />

Come se non fosse bastata la lettura de I misteri del tempo,<br />

subito dopo mi sono avventurato in La<br />

fine del tempo,<br />

di Julian Barbour. Ora, se il libro di Davies era un tentativo tutto sommato onesto di<br />

divulgazione sul tema del tempo (secondo me non ben riuscito,<br />

ma non voglio ripetermi), con il<br />

libro di Barbour siamo dalle parti dell'oggetto non identificato. Barbour è convinto che lo scorrere<br />

del tempo sia solo un'illusione e che la fisica andrebbe rifondata, arrivando a una descrizione<br />

atemporale delle leggi di natura; l'idea, mi pare di capire, è che il mondo sarebbe in realtà<br />

cristallizzato in una struttura fissa, e che sarebbe solo la nostra coscienza a organizzare le<br />

percezioni creando un'illusione di mutamento e movimento. Fin qui, niente di male: in fondo la<br />

scienza produce di frequente un superamento delle impressioni immediate, in favore di concetti<br />

meno intuitivi ma più rigorosi. Può anche darsi che il tempo non esista. Purtroppo, dal libro di<br />

Barbour risulta secondo me impossibile trarre qualsiasi conclusione. Dopo oltre trecento pagine,<br />

faticosissime non perché troppo tecniche ma, al contrario, perché troppo discorsive e qualitative,<br />

piene di analogie di cui è difficile verificare la validità, Barbour candidamente ammette:<br />

È vero, non posso presentare prove matematiche concrete a sostegno della mia idea, ma spero<br />

che a questo punto il lettore si sia persuaso che almeno gli argomenti a favore di un universo<br />

atemporale sono validi<br />

Il ricorso all'intuizione e ad argomenti euristici per indirizzare la ricerca non è uno scandalo: lo<br />

stesso Einstein ne fece largo uso, ma poi passò anni a scontrarsi con i dettagli matematici.<br />

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