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Post/teca<br />

Cremona, 18 dicembre 1737: vecchio di 93 anni, muore Antonio Stradivari; nella<br />

bottega dove ha sempre lavorato, creando oltre mille tra violini, viole e violoncelli,<br />

rimangono ancora novantuno strumenti da vendere. Degli undici figli avuti,<br />

soltanto Francesco Giacomo, Omobono e Paolo, il più piccolo, continuano il<br />

mestiere. Costruiscono nuovi strumenti, anche falsificando la firma del padre, ma<br />

soprattutto, approfittando di un mercato subito fiorente, vendono a buon prezzo i<br />

capolavori creati da Antonio. Si arriva così, di cessione in cessione, fino al 1775,<br />

quando di strumenti ne sono rimasti soltanto dieci e Paolo Stradivari non resiste<br />

all’offerta che gli proviene da Ignazio Alessandro Cozio, conte di Salabue. È un<br />

nobile piemontese, al momento di quell’acquisto ha soltanto vent’anni e nel suo<br />

castello di Casale Monferrato ha iniziato quella che diventerà la prima e più<br />

importante collezione al mondo di violini italiani: non si contano gli Amati, i<br />

Ruggeri, i Bergonzi, i Cappa. L’arrivo dei dieci Stradivari è il suo capolavoro: la fama<br />

di Cozio dilaga ed è a lui che si rivolgerà Niccolò Paganini, quando proverà il<br />

desiderio di suonare uno Stradivari. Ma la passione diventa una febbre, una<br />

malattia; con l’aiuto del liutaio Giovanni Battista Guadagnini, Cozio tenta di clonare<br />

gli Stradivari, di creare dei figli degni dei loro padri: un’ambizione che non verrà<br />

mai soddisfatta, provocandogli una crescente frustrazione.<br />

Il conte invecchia, nessuno in famiglia condivide quella mania e qui entra in scena il<br />

personaggio più nero di tutta la vicenda. Luigi Tarisio, un commerciante di<br />

Fontaneto Po, vicino a Vercelli. Di professione ebanista e restauratore, però anche<br />

lui malato di violini: da mercante, non da innamorato. Ha un fiuto infallibile;<br />

viaggia da solo, a cavallo, a piedi, raramente si concede il lusso di una carrozza,<br />

batte le città e le campagne piemontesi e lombarde a caccia di strumenti.<br />

Trasandato, scontroso, di poche parole, buon pagatore. Accumula, pulisce, restaura,<br />

rivende. Arriva a duecento strumenti, che tiene nascosti nel nuovo appartamento di<br />

Milano, dove si è trasferito e dove ha sistemato anche tutti gli Stradivari comprati<br />

da Cozio. Ma i più preziosi, li nasconde nei casali di campagna, sotto la paglia.<br />

I primi decenni dell'Ottocento vedono esplodere la figura del violinista virtuoso,<br />

splendido e demoniaco, che incanta il pubblico. I prezzi si impennano e Tarisio<br />

diventa ricco; entra in contatto con i migliori liutai di Parigi e di Londra e ogni<br />

volta, prima di ritornare a Milano, si congeda con la stessa frase: «Questi sono<br />

ottimi strumenti, ma ne ho uno con una voce meravigliosa, potente e lieve come<br />

nessun'altro. Se soltanto lo vedeste!».<br />

Jean Baptiste Vuillaume, il più affidabile liutaio parigino, gli chiede di portarlo, di<br />

provarlo, ma Tarisio non lo accontenta mai. Un giorno, entra nel negozio Jean-<br />

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