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Post/teca<br />

AC<br />

… è la corsa dei lemming verso la scogliera. Senti, la tua vita intellettuale è stata scandita dalle<br />

riviste. Per dirla col Cage di Caosmogonia: costruire cioè riunire ciò che esiste allo stato disperso.<br />

Cominci col verri, come hai ricordato; poi c’è Quindici, la prima Alfabeta, e ora alfabeta2. Sono<br />

quattro situazioni completamente diverse, quattro Italie molto lontane l’una dall’altra.<br />

NB<br />

Il verri fu l’apertura all’estero, la gita a Chiasso per dirla con Arbasino; Quindici fu la fine della<br />

neoavanguardia e l’abbracciare un’azione politica più diretta: esplose il Sessantotto e fu un<br />

momento di mutazione violenta, non c’è dubbio. Prima non è che fossi indifferente alla politica, ma<br />

quello che succedeva in Italia negli anni Sessanta da questo punto di vista francamente non mi<br />

coinvolgeva granché, seguivo Quaderni rossi ma insomma non era al centro dei miei interessi. Dal<br />

Sessantotto in poi le cose sono cambiate, negli anni Settanta mi sono sostanzialmente dedicato<br />

alla politica. Non ho certo le qualità del teorico né del dirigente, ma le mie capacità organizzative<br />

sono tornate utili anche allora. Mi sono occupato dell’aspetto editoriale di Potere operaio, per<br />

esempio. Verso il 1976-77, poi, inventammo Area: una federazione di una dozzina di piccole<br />

iniziative editoriali come la Cooperativa scrittori, l’Erba voglio, Aut Aut, eccetera (molte erano<br />

espressione di aree politiche, appunto), che messe assieme componevano un’entità di medie<br />

proporzioni, con una buona distribuzione e ottimi risultati commerciali. I singoli editori, come<br />

Fachinelli per l’Erba voglio per esempio, erano perfettamente autonomi nelle scelte ma non<br />

dovevano poi occuparsi del resto della “filiera”. A questa situazione venne messa la parola fine con<br />

interventi politici pesanti; la storia per la verità è piuttosto complessa, ma insomma si vede che<br />

tutto si può fare, da noi, tranne mettere in discussione gli assetti economici vigenti con efficacia.<br />

AC<br />

E poi ci fu Alfabeta.<br />

NB<br />

Sì, insieme a molte persone che provenivano appunto dall’Area, che chiude nel ’78. Io in quel<br />

periodo vivevo a Milano, e con gli amici di lì pensammo che occorreva reagire al dilagare della<br />

repressione, alla criminalizzazione di ogni dissenso, alle leggi speciali che intervenivano sul<br />

tessuto sociale e culturale a tutti i livelli. Con Paolo Volponi, Maria Corti, Antonio Porta, Gianni<br />

Sassi, Mario Spinella e altri pensammo di partire dall’eterogeneità dei nostri percorsi, senza<br />

dissimularla: eravamo uniti proprio dall’emergenza in atto. Io però ho fatto in tempo a fare solo il<br />

primo numero, aprile 1979 (spero che la storia non si ripeta così anche stavolta!). Mentre il<br />

fascicolo andava in stampa venni coinvolto nel processo «7 aprile», e sono dovuto andare via<br />

dall’Italia. Il numero 1 di Alfabeta l’ho ricevuto per posta, a Parigi. Ho continuato a seguire la rivista<br />

da lontano, ma non ho partecipato alle riunioni settimanali della Redazione, che – dicono quelli che<br />

le hanno vissute – erano occasioni piuttosto eccezionali. Dopo il processo e l’assoluzione rientro in<br />

Italia nel 1984, ma ho continuato a vivere più in Francia che in Italia ancora negli anni Novanta.<br />

Proprio in Francia, avendo molto tempo a disposizione, ho cominciato a dedicarmi con continuità<br />

all’arte visiva, che è poi oggi è la mia attività prevalente. Ho sempre fatto collages, sin da quando<br />

ho cominciato a scrivere poesia sul serio: proprio il considerare la parola come oggetto ha portato<br />

con sé la pratica del ritaglio e del collage. Poi ho sempre fatto una quantità di altre cose;<br />

programmi televisivi, la prima web-tv-cam culturale, eccetera.<br />

AC<br />

E oggi, come mai di nuovo una rivista?<br />

NB<br />

Mah, l’idea ce l’ho da qualche anno; ne ho parlato tante volte con Eco. Poi l’estate scorsa,<br />

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