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Post/teca<br />

anzitutto intellettuali, giovani scrittori ad avere ruoli decisionali: già questo aspetto ci distanzia<br />

decisamente dalla situazione attuale. Fare una casa editrice significava anzitutto proporre<br />

un’invenzione intellettuale. La dimensione del mercato c’era anche allora, ovviamente: la prima<br />

cosa che mi disse Feltrinelli era che lo scopo di un editore non è pubblicare libri, ma venderli. Ma<br />

alla Feltrinelli per esempio, con personaggi come Valerio Riva ed Enrico Filippini, scoprire nuove<br />

aree come la letteratura sudamericana o quella tedesca significava a un tempo esercitare<br />

l’immaginazione imprenditoriale e fare una scommessa culturale.<br />

AC<br />

In quella situazione l’interesse culturale e quello politico non erano cose separate, erano la stessa<br />

cosa.<br />

NB<br />

Beh, l’intento iniziale di Feltrinelli era schiettamente politico; e la sua attrazione per le situazioni<br />

rivoluzionarie lo porterà a una fine tragica. In ogni caso, da noi alla Feltrinelli non c’era una<br />

separazione netta fra narrativa e saggistica. Per gli scrittori italiani, poi, c’era l’idea di una<br />

progettazione a lungo termine: era possibile pubblicare libri fuori del mercato, come per esempio<br />

quelli della neoavanguardia, perché li si considerava importanti culturalmente, apportavano un<br />

prestigio intellettuale.<br />

AC<br />

Cos’è cambiato, da allora?<br />

NB<br />

La fine di questo sistema è legata alla scomparsa fisica dei fondatori di queste case editrici.<br />

Personaggi che erano in grado di trovare sovvenzioni, non pubbliche come in altri paesi come la<br />

Francia, ma private (Feltrinelli si finanziava da solo con le sue altre imprese, mentre la FIAT<br />

finanziava Einaudi per esempio). Dopo la loro scomparsa, le case editrici che portano i loro nomi<br />

sono divenute società gestite da amministratori, dunque l’unica cosa che conta è far quadrare i<br />

bilanci. Poi c’è evidentemente anche una mutazione strutturale, legata all’allargarsi dell’editoria a<br />

fenomeno di massa; del resto in Italia proprio la Feltrinelli è stata protagonista di questo<br />

mutamento.<br />

AC<br />

Nell’editoria di oggi, i libri sono concepiti come armi di intrattenimento di massa.<br />

NB<br />

In Italia abbiamo l’abitudine di adeguarci al livello più basso. Lo si vede in politica, ma anche nei<br />

comportamenti individuali. L’editoria di massa all’estero si fa benissimo, infatti i più grandi<br />

bestseller li importiamo, ma altrove si mantiene vivo anche un settore letterario che ha<br />

evidentemente un pubblico più limitato ma comunque esistente, consistente. Da noi si fa finta che<br />

non esista, questo pubblico diverso; anzi, addirittura lo si respinge, evitando di pubblicare libri che<br />

vadano in quella direzione, o ingannevolmente presentandoli come opere d’evasione. Sugli autori<br />

esordienti, poi, si interviene massicciamente a livello di editing, per normalizzarli secondo una<br />

media astratta; vengono letteralmente ricattati, amputandoli delle loro potenzialità. Ci sono<br />

evidentemente delle eccezioni, ma il panorama italiano è in sostanza questo. Viviamo nel dogma<br />

capitalista della produttività, nel mito dello sviluppo, c’è il feticcio del PIL; è questo fra l’altro che<br />

causa crisi ricorrenti che sono essenzialmente crisi di sovrapproduzione: si incoraggia la gente a<br />

indebitarsi sino a che la situazione diventa insostenibile e la bolla esplode. Anche in editoria c’è<br />

una quantità eccessiva di pubblicazioni, una massa immensa di titoli che non vengono nemmeno<br />

selezionati, si va avanti con gli anticipi della distribuzione, poi al momento delle rese ci si ritrova<br />

indebitati fino al collo…<br />

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