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Post/teca<br />

istituzioni maggioritarie elettive, nelle quali prevalgono le ragioni del consenso, e istituzioni non<br />

maggioritarie di garanzia, in primo luogo le corti, nelle quali dovrebbero prevalere le ragioni della<br />

civiltà codificate proprio in quei diritti a cui le maggioranze sono meno sensibili»). Sono rari, nei<br />

moderni Stati-nazione, i leader che sappiano tener conto di ambedue gli imperativi, e nei momenti<br />

critici anteporre le esigenze della civiltà a quelle del consenso. Quando Obama si dichiara non<br />

contrario alla costruzione di una moschea nei pressi di Ground Zero difende la costituzione laica e<br />

la storia americana lunga, non la storia tra un sondaggio e l’altro. Il consenso sente di doverselo<br />

creare a partire da qui, sapendo che può anche perderlo. In genere, quando i governanti esaltano<br />

ogni minuto la sovranità e le emozioni del popolo non è il popolo a governare: sono le oligarchie, i<br />

poteri segreti, le mafie. Anche la nostra Costituzione ha lo sguardo lungo, e non a caso dà la<br />

preminenza alla persona, più ancora che al cittadino. Tutti gli articoli che concernono i diritti<br />

fondamentali (libertà, divieto della violenza, inviolabilità del domicilio, responsabilità penale, diritto<br />

alla salute) parlano non di cittadini ma di persone o individui, e precedono la Costituzione stessa.<br />

Il nomadismo è una forma di vita che tende a scomparire, ma resta una forma della vita umana. Il<br />

non aver fissa dimora, il vivere in roulotte, il muoversi in carovane («in orde», era scritto nei decreti<br />

d’espulsione ai tempi di Weimar e di Hitler): tutto ciò è parte della cultura dei Rom e Sinti. Lo è<br />

anche la scelta di adottare la religione dei Paesi in cui vivono: è l’integrazione che prediligono da<br />

secoli. Come tutti i cittadini anch’essi delinquono, specie se vessati. I più sono cittadini plurisecolari<br />

dei Paesi in cui girovagano o si sedentarizzano. Da noi, l’80 per cento dei Rom sono italiani. Non<br />

sono mancate le proteste contro la politica francese (700 rimpatri entro settembre): nell’Onu,<br />

nell’Unione europea. Hanno protestato anche importanti leader della destra: primo fra tutti<br />

Dominique de Villepin, secondo cui oggi esiste sulla bandiera una «macchia di vergogna». Resta<br />

tuttavia il fatto che i Rom non hanno un Elie Wiesel, che in loro nome trasformi il divieto di odio in<br />

tabù. Possono contare solo sulla Chiesa, memore della parabola del Samaritano e della storia<br />

d’Europa. L’Europa e le costituzioni postbelliche sono state escogitate per evitare simili ricadute,<br />

sempre possibili quando il nazionalismo etnico di tipo ottocentesco riprende il sopravvento. Le<br />

strutture imperiali erano più propizie alla diversità, e il compito di uscire dalle gabbie etniche e<br />

restaurare autorità superiori a quelle degli Stati sovrani spetta al potere superiore che in tanti<br />

ambiti giuridici oggi s’incarna nell’Unione.<br />

È l’Europa che deve ripensare lo statuto dei Rom: permettendo loro di continuare a viaggiare, di<br />

trovar lavoro, di difendersi dalle mafie, di rispettare la legge e l’ordine. Nel quindicesimo secolo,<br />

quando migrarono in Europa, gli zingari avevano una protezione-salvacondotto universale, non<br />

nazionale o locale: la protezione del Papa e quella dell’Imperatore. Solo una protezione di natura<br />

universale può garantire «le legittime diversità umane» cui ha accennato Benedetto XVI<br />

nell’Angelus pronunciato in francese il 22 agosto. Oggi i Rom hanno la protezione del Papa. Quella<br />

dell’Imperatore (della politica) è crudelmente latitante.<br />

fonte: http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?<br />

ID_blog=25&ID_articolo=7758&ID_sezione=&sezione=<br />

via: http://articoliscelti.blogspot.com/<br />

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