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Post/teca<br />

“commercializza” i brandelli della coscienza giovanile, senza più l’aristocratica<br />

presunzione di chi parla dei giovani, di questi giovani o muti o più sovente<br />

inascoltati, e ne parla con i codici degli “adulti”.<br />

Una sperimentazione che valorizzi l’esperienza di ciascuno, che dia voce a chi non<br />

ce l’ha, che legga nel cuore dei silenzi, che raccolga e non più schiacci noi stessi,<br />

noi tutti, corpi, passioni, allegrie, disperazioni, irriducibili utopie.<br />

Care compagne e cari compagni, io credo che questo Congresso possa lanciare<br />

una sfida grande alla società e allo stesso partito comunista, una sfida sulla<br />

politica, sulla cultura, sui valori. Ci sono questioni che vanno finalmente affrontate,<br />

con franchezza, scrollandosi di dosso un pesante fardello di pregiudizi e<br />

intolleranze. E l’indifferenza può essere più feroce dell’intolleranza.<br />

Vengo da un’esperienza politica in cui ho potuto misurare l’emergere prepotente di<br />

una questione omosessuale in termini di formazione di circoli, come qui a Napoli, di<br />

socializzazione, di storie, di fatiche, di itinerari individuali e collettivi, ma anche in<br />

termini di violenze immani, di solitudini senza scampo, di morti ammazzati.<br />

Per noi non si tratta solo di riconoscere la dignità dell’esperienza omosessuale, si<br />

tratta soprattutto di raccogliere la diversità e le diversità come una ricchezza grande<br />

e insostituibile del patrimonio morale e politico di chi vuole cambiare il mondo. Si<br />

tratta di fare un discorso spietato sulla cultura dominante, sul costume, sulla<br />

miserevole e violenta sessualità del maschilismo.<br />

Si tratta di tirar fuori le nostre storie. L’omosessualità è ancora l’amore che non osa<br />

pronunciare il suo nome? In questo campo, più che altrove, le parole sono pietre,<br />

pesano sulle coscienze, talvolta sono macigni.<br />

Ci sono molte persone, anche compagni, che soffrono di una sofferenza muta. È<br />

soprattutto con queste persone, con questi compagni, diciamo i “diversi” di ogni<br />

tipo, che ho voglia di costruire l’alternativa. Un’alternativa al ghetto del quartiere<br />

dormitorio, al ghetto della fretta spersonalizzante, della solitudine coatta,<br />

dell’impotenza, dei gesti della siringa e della fuga terrorizzata da se stessi.<br />

Compagne e compagni, ora concludo.<br />

In una stagione in cui pare di udire, con parole cifrate (e purtroppo il vezzo dei<br />

messaggi in codice ha preso piede anche nel PCI), un senso di estraneità, in alcuni<br />

comunisti adulti, alla parola comunista, noi della FIGC, io credo, dobbiamo ribadire<br />

con forza la nostra identità comunista. È vero, non siamo pentiti della nostra storia.<br />

Soprattutto non abbiamo smesso di aver voglia di trasformare le regole del gioco,<br />

perché questo è un gioco al massacro e noi vogliamo “giocare” e liberarci.<br />

Ma siamo comunisti non tanto per quello che ci lega al passato, alla tradizione del<br />

movimento operaio, quanto per quello che ci lega al futuro.<br />

La nostra identità dobbiamo “giocarcela” sul campo. Sul muro di un palazzone<br />

grigio di Bari, ho letto una frase scritta in vernice rossa in cattivo francese, ma il cui<br />

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