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Post/teca<br />

non in termini di sommesso dettaglio; più spontaneo quando si tratta di altri personaggi piuttosto<br />

che dell’io narrante, Larkin mette in scena le sue madeleines: la stanza d’affitto di Mr Bleaney,<br />

dove poter spegnere i mozziconi sullo stesso piattino-ricordo non più usato dalla morte di lui; o gli<br />

spartiti di romanza logorati dal tempo a cui “lei” ora ritorna, rimasta sola, ben sapendo che “così<br />

come non era stato allora, non sarebbe stato neanche adesso”. E sempre passando, con un<br />

rapidissimo cambio di inquadratura, dal generale al particolare, e giungendo al dettaglio rivelatorio<br />

in modo dolorosamente sorprendente (“and the voice above / Saying Dear child, and all time has<br />

disproved”). O anche: “You can see how it was: /…/ The music in the piano stool. That vase”.<br />

Fino al componimento che dà il titolo al libro: le nozze di pentecoste, tanti matrimoni conclusi alla<br />

stazione con la partenza degli sposi in treno, paese dopo paese; e l’io narrante che li vede salire, e<br />

vede i parenti salutare (“children frowned / At something dull; fathers had never known / Success<br />

so huge… / The women shared / The secret like a happy funeral; / While girls, gripping their<br />

handbags tighter, stared / At a religious wounding”). Conclusione: “A dozen marriages got under<br />

way”.<br />

Il tutto intervallato da un componimento breve, giustamente famoso – “Days” – che a noi italiani,<br />

nella prima parte non può non richiamare Lamarque; mentre, nella seconda lassa, pare riprendere<br />

l’immagine del prete e del dottore dalla Ballad of Reading Gaol di Oscar Wilde:<br />

What are days for?<br />

Days are where we live.<br />

They come, they wake us<br />

Time and time over.<br />

They are to be happy in:<br />

Where can we live but days?<br />

Ah, solving that question<br />

Brings the priest and the doctor<br />

In their long coats<br />

Running over the fields.6<br />

Peculiare larkiniana è comunque sempre la capacità di illuminare a giorno l’infimo dettaglio,<br />

facendogli assumere valenza universale. E’ così per quegli agnelli (e ci vuole del coraggio per un<br />

poeta inglese a porre gli agnelli nel primo verso; come per un italiano la cavallina o l’anguilla:<br />

totalmente bruciate in poesia); quegli agnelli che imparano a camminare nella neve: “They could<br />

not grasp it if they knew, / What so soon will wake and grow / utterly unlike the snow”.<br />

Una capacità che il poeta riesce persino ad accentuare quando il riferimento è alla sfera sessuale,<br />

alla sfera dei rapporti sessuali con l’altro sesso. Dockery, il compagno di università scomparso, ora<br />

ha un figlio di vent’anni che frequenta lo stesso loro college. Lo ripete tra sé, pensoso, il poeta,<br />

dopo le parole del rettore (la poesia si intitola appunto “Dockery and Son”). Dockery, dunque, a<br />

quel tempo… e “Dockery was junior to you, / Wasn’t he?”. Sono “innate supposizioni” che si<br />

ergono come nubi di sabbia: “For Dockery a son, for me nothing”. Ma la vita, conclude il poeta –<br />

implicitamente ribadendo al sonetto shakespeariano che, tanto, con lui, non c’era nessuna<br />

bellezza da tramandare – “is first boredom, then fear. / Whether or not we use it, it goes”.<br />

Certo, che la si usi o no, la vita passa. Ma fino all’ultimo testo dell’ultimo libro l’ossessione,<br />

divenuta forse vezzo, birignao; l’ossessione si trascina dal kavafisiano nogozio di merceria (“The<br />

Large Cool Store”), dove – oltre i mucchi di camicie e pantaloni – appaiono “Lemon, sapphire,<br />

moss-green, rose / Bri-Nylon Baby-Dolls and Shorties” come lucenti alberi della tentazione. E così<br />

Larkin, che in “Annus Mirabilis” ci aveva dichiarato<br />

Sexual intercourse began in nineteen-sixtythree-<br />

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