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Volume 1 - Comune di Uggiate-Trevano

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434<br />

UGGIATE TREVANO UNA COMUNITÀ E LA SUA PIEVE<br />

Somazzo si tace nel modo più assoluto. Eppure doveva ancora essere in<br />

pie<strong>di</strong>: e si <strong>di</strong>rà dopo in base a quale in<strong>di</strong>zio lo si afferma qui. Come mai?<br />

Se si tiene presente il quadro che emerge dalla situazione sociologica<br />

presentata, non pare inverosimile pensare che, situata lassù, proprio sulla<br />

via del contrabbando, essa fosse <strong>di</strong>venuta una postazione d’appoggio per<br />

il traffico illegale (che abbia cominciato a usarla come tale il prevosto<br />

Nicolò Boldoni?) e poi per la malavita. Tra l’altro i ban<strong>di</strong>ti, se erano in<br />

una chiesa, non potevano essere toccati, per il famoso <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> asilo.<br />

Nulla <strong>di</strong> più facile che la cappella fosse stata trasformata in un covo<br />

protetto, in un punto franco dei ban<strong>di</strong>ti. Come si faceva a <strong>di</strong>re ai vescovi<br />

visitatori che lassù c’era un’altra chiesa da vedere? Come minimo ci<br />

scappava la scomunica per tutti i preti <strong>di</strong> <strong>Uggiate</strong> (prevosto e canonici). E<br />

poi, ammesso che il prevosto avesse detto qualcosa, una volta andato via<br />

il vescovo, chi gli levava dalla schiena un’archibugiata? Meglio allinearsi<br />

allo stile <strong>di</strong> don Abbon<strong>di</strong>o e non rompere l’omertà. Tanto, chi sarebbe<br />

andato lassù a rimettere in or<strong>di</strong>ne la cappella, a celebrare o a pregare in<br />

un luogo ormai profanato? Un bel tacer non fu mai scritto: era davvero il<br />

male minore. E si tacque almeno fino al 1650.<br />

Ma ritorniamo nella tarda primavera del 1647, dopo la buriana del<br />

processo per l’omici<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Giovanni Perucchi. Le donne <strong>di</strong> casa Fontana<br />

del Cioso avevano rotto l’omertà. Forse da parte <strong>di</strong> Tomasino, con la<br />

regia del padre Cesare, si cominciò a pensare <strong>di</strong> punirle. E fu così che a<br />

furia <strong>di</strong> spremere le meningi abituate a macinare crudeltà, per inventare<br />

il castigo migliore per quelle donne pericolose, spuntò un’idea…<br />

Atto II, scena I (Cesare e Tomasino Fontana in una cappella<br />

campestre semi<strong>di</strong>roccata sul monte <strong>di</strong> Uggià, là dove si <strong>di</strong>ce a Somazzo)<br />

«Questa sarìa la posta giusta per dare un castigo a quella bisbetica<br />

della Paola d’Ugià… Che interesse haveva lei, la serva, <strong>di</strong> andare a <strong>di</strong>re<br />

che t’ha visto e ti conosceva: “Sì l’è il Buleta, lo conosco bene che lo<br />

vedevo ala Madona <strong>di</strong> Coldré”... Ma va a chigare, bestia che sei stata».<br />

«Hai detto bene, pà… Se fasemo l’imboscata qui quando passa per<br />

tornare da Brusata a Ugià non si può fallare…».<br />

«A pensar bene, però, sparar col scioppo a una dona me pare una<br />

robba puoco da gentil’huomini. Ghe vorarìa un altro castigo… Buttarla<br />

là sulla riva e dargliene una giusta passata, poi finirla a colpi <strong>di</strong><br />

spontone e pugnale. Mah!…».

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