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Volume 1 - Comune di Uggiate-Trevano

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DAI «SECOLI BUI» AI COMUNI 49<br />

I due regimi giuri<strong>di</strong>ci convissero per secoli, almeno fino all’età comunale,<br />

come <strong>di</strong>mostrano molti atti, in cui le persone preliminarmente «professano<br />

<strong>di</strong> vivere» secondo la legge romana o longobarda.<br />

Dell’età feudale si sono conservati documenti e atti scritti su pergamena:<br />

non sono molte le testimonianze autentiche, gelosamente custo<strong>di</strong>te<br />

negli archivi <strong>di</strong> Stato, raccolte in sezioni particolari, come quella del<br />

«museo <strong>di</strong>plomatico» a Milano. 4<br />

Da essi appren<strong>di</strong>amo, ad esempio, che già Liutprando, re dei Longobar<strong>di</strong>,<br />

aveva concesso beni nel Varesotto e nell’attuale Canton Ticino alla<br />

basilica pavese <strong>di</strong> San Pietro in Cielo d’oro; che nel secolo X ne avrebbe<br />

ottenuti anche a Menaggio e a Cernobbio, oltre che in Valtellina. Carlo<br />

Magno confermò, su richiesta del figlio Pipino, a Pietro, vescovo <strong>di</strong> Como,<br />

il possesso della pieve <strong>di</strong> Bellinzona e del contado <strong>di</strong> Chiavenna ed<br />

altri <strong>di</strong>ritti. Nel secolo X il monastero <strong>di</strong> Sant’Ambrogio <strong>di</strong> Milano aveva<br />

beni nel Triangolo Lariano (Limonta, Nesso, Bellagio), concessi da re<br />

Lotario; oltre che <strong>di</strong>ritti vari a Campione, ad Albiolo, a Obino (Castel S.<br />

Pietro) e altrove nel Comasco, già attestati nei secoli precedenti. Se pure<br />

alcuni <strong>di</strong> questi documenti sono stati riconosciuti come falsi, nel senso<br />

che non sono originali, il loro contenuto corrisponde, in ogni caso, alla<br />

ricostruzione successiva, a memoria, <strong>di</strong> atti precedenti andati perduti.<br />

Attraverso la lettura <strong>di</strong> quelle scritture si intravedono spezzoni <strong>di</strong> società<br />

altome<strong>di</strong>evale in cui troviamo, accanto ai nobili feudatari <strong>di</strong> vario<br />

grado, altre categorie <strong>di</strong> uomini liberi: arimanni e guerrieri <strong>di</strong> stirpe longobarda,<br />

oppure lavoratori in proprio, talora organizzati in forma societaria<br />

o corporativa come quella dei Magistri Comacini, come sembrerebbe<br />

<strong>di</strong> arguire dall’E<strong>di</strong>tto <strong>di</strong> Rotari del 643, che nel fissare le spettanze e i <strong>di</strong>ritti<br />

<strong>di</strong> chi esercitava l’arte muraria, parla <strong>di</strong> «mastro» con i suoi «colleganti»<br />

o «consorti». 5 Nell’anno 781 un certo Giselperto, che sottoscrive<br />

come teste un atto, è orgoglioso <strong>di</strong> qualificarsi come «mulinario omo liver»,<br />

mugnaio uomo libero.<br />

Molti erano ancora servi della gleba, che passavano da un padrone all’altro<br />

insieme con le masserie cui erano vincolati: ricordo della schiavitù<br />

del tempo dei Romani, che il cristianesimo non era ancora riuscito a rendere<br />

liberi, giacché da sempre le regole dell’economia prevalevano (e<br />

prevalgono ancora?) sui principi nell’applicazione del <strong>di</strong>ritto. In quei secoli<br />

appare ancora in uso la ven<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> bambini destinati alla servitù. Altri,<br />

invece, erano semiliberi, ed erano i cosiddetti al<strong>di</strong> o al<strong>di</strong>ni.

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