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Alma Mater Studiorum – Università di Bologna - Cestim

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svegliata.” [M6]<br />

“Guarda, a me gli ospedali non mi piacciono. Ci vado solo se mi trovano per terra e mi portano al pronto<br />

soccorso. Solo l’appen<strong>di</strong>cite ho fatto. Questa è stata la sola cosa che mi è successo. Per questa cosa sono<br />

stata in ospedale.” [M5]<br />

Dai racconti sulla malattia vissuta nel periodo antecedente la migrazione traspare quasi sempre un<br />

senso <strong>di</strong> sicurezza dovuto sostanzialmente alla conoscenza del sistema sanitario a cui si affida la<br />

guarigione del proprio corpo, dall'altro alla consapevolezza che la guarigione dallo stato <strong>di</strong> malattia<br />

ha il fondamentale appoggio delle reti <strong>di</strong> cura familiari e comunitarie. La malattia (ci riferiamo in<br />

questo caso ai ai Paesi africani, in specifico Etiopia e Togo) non è un evento che colpisce<br />

esclusivamente il soggetto malato ma l'intero nucleo familiare, il vicinato o il paese i quali si<br />

adoperano per sostenerlo nel periodo <strong>di</strong> infermità e restituirgli al più presto la salute perduta. La<br />

malattia <strong>di</strong>venta perciò un evento “esteso”, socializzato alle reti sociali primarie.<br />

“(...) funziona così: nel mio paese ci sono al massimo 4 me<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> famiglia. Se tu ti ammali devi andare<br />

dal me<strong>di</strong>co <strong>di</strong> famiglia. Se tu vai da lui e gli <strong>di</strong>ci mi ha male una cosa. Se lui non può curarti, ti manda in<br />

un posto più grande. Come se tu abiti a S. Lazzaro e ti mandano a <strong>Bologna</strong>. Se poi a <strong>Bologna</strong> non ti<br />

curano, vai a Roma. Per <strong>di</strong>re, se hai un problema grosso che a <strong>Bologna</strong> non lo curano, tu vai a Roma. Vai,<br />

dalla provincia al capoluogo <strong>di</strong> provincia, se loro decidono che è un problema più grave, ti mandano<br />

<strong>di</strong>rettamente in capitale.” [M13]<br />

“Da noi, se tu non ve<strong>di</strong> tutto il giorno il tuo vicino <strong>di</strong> casa, vai a vedere se è là o no. Se non lo ve<strong>di</strong> il<br />

giorno dopo lo chiami “Ciao, non ti ho visto ieri, come va?”.Si fa così. Tu puoi stare male, ma dopo poco<br />

tempo qualcuno si interessa <strong>di</strong> te e, se serve, ti da una mano. E’ importante sapere come stanno le altre<br />

persone.” [M2]<br />

In generale, quando i migranti che abbiamo intervistato hanno raccontato delle loro esperienze <strong>di</strong><br />

malattia nel paese <strong>di</strong> origine, lo hanno fatto ricordandola come un avvenimento lontano che, anche<br />

se <strong>di</strong> una certa gravità, non ha danneggiato la propria con<strong>di</strong>zione fisica tanto da lasciare strascichi<br />

anche nel presente (in questo ragionamento va comunque considerata probabilmente anche la<br />

giovane età delle persone). La <strong>di</strong>stanza temporale tra la malattia vissuta nel paese <strong>di</strong> origine e la<br />

con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> salute attuale che si percepisce nei racconti dei migranti è molto grande, anche<br />

laddove in realtà non è così. La malattia è rinchiusa dentro una temporalità remota tanto che pare<br />

“<strong>di</strong>menticata” nel paese <strong>di</strong> origine con il resto della propria storia clinica.<br />

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