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Alma Mater Studiorum – Università di Bologna - Cestim

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comunicativa, nella quale interagisce con il migrante considerandolo prima <strong>di</strong> tutto come una<br />

persona che sta vivendo un’esperienza biografica particolare, quale la migrazione. La situazione che<br />

viene a crearsi è tale, che sembra far passare l’aspetto della malattia in secondo piano rispetto agli<br />

altri argomenti che vengono <strong>di</strong>scussi. Ad un certo momento il me<strong>di</strong>co chiede il motivo per il quale<br />

la persona è venuta a farsi visitare e questa inizia ad esporre il problema <strong>di</strong> salute che lo interessa. A<br />

questo punto Marco inizia ad assumere un atteggiamento <strong>di</strong> propensione all’ascolto. Sta a sentire<br />

molto attentamente la descrizione dei sintomi fatta dal paziente; interrompe poco solitamente solo<br />

per chiedere dei chiarimenti, se le <strong>di</strong>fficoltà linguistiche impe<strong>di</strong>scono al migrante <strong>di</strong> farsi capire.<br />

Allora chiede <strong>di</strong> ripetere. Quando il paziente non trova le parole giuste cerca <strong>di</strong> assisterlo:<br />

suggerisce, completa, aiuta a spiegare. Successivamente il me<strong>di</strong>co si alza dalla se<strong>di</strong>a, si avvicina al<br />

paziente ed inizia a visitarlo: controlla la pressione, il battito car<strong>di</strong>aco, le vie respiratorie e<br />

ovviamente presta particolare riguardo al problema <strong>di</strong> salute specifico sofferto dal paziente.<br />

L’aspetto interessante <strong>di</strong> questo modo <strong>di</strong> operare è che la malattia del paziente non è monopolio del<br />

sapere tecnico detenuto dal me<strong>di</strong>co, ma <strong>di</strong>venta terreno comune <strong>di</strong> confronto tra due<br />

rappresentazioni della malattia: una generata dal sapere me<strong>di</strong>co, l’altra dalle percezioni<br />

dell’in<strong>di</strong>viduo malato. Infatti, l’interazione si sviluppa attorno alla narrazione della malattia<br />

prodotta dal paziente. Marco non interrompe quasi mai il racconto, semmai lo tiene vivo con<br />

ulteriori domande. Egli cerca costantemente <strong>di</strong> trovare la conferma delle proprie valutazioni<br />

me<strong>di</strong>che nelle risposte del paziente. Questo non significa che il me<strong>di</strong>co accetti <strong>di</strong> mettere totalmente<br />

in secondo piano la propria autorità me<strong>di</strong>ca, la quale continua a pesare nel rapporto con il migrante;<br />

ed infatti l’intervento che chiude la prassi della <strong>di</strong>agnosi e della prescrizione della cura è quello del<br />

me<strong>di</strong>co che stabilisce la propria definizione della situazione alla quale il migrante è tenuto a<br />

conformarsi. Tuttavia appare evidente come il processo <strong>di</strong> definizione della malattia e della cura<br />

<strong>di</strong>venti più aperto al contributo del paziente. Anche il flusso della comunicazione non sembra<br />

seguire il “naturale” <strong>di</strong>vario <strong>di</strong> potere connesso ai <strong>di</strong>versi ruoli sociali dal me<strong>di</strong>co verso il paziente<br />

straniero. E’ il migrante che, in relazione alla sua abilità linguistica, comunica una grande quantità<br />

<strong>di</strong> informazioni, in sostanza racconta gran parte della sua biografia al me<strong>di</strong>co il quale limita<br />

all’essenziale il suo potere <strong>di</strong> normazione del comportamento e della gestione della salute del<br />

paziente.<br />

In generale ho osservato una certa elasticità da parte sia del me<strong>di</strong>co che del paziente straniero<br />

nell’interpretare i loro ruoli sociali così come conformati dalle aspettative reciproche. Il primo<br />

infatti alterna un comportamento rispondente alle aspettative sociali sul suo ruolo: indossare un<br />

camice, condurre la vestita me<strong>di</strong>ca in un determinato modo, scrivere le ricette per la prescrizione<br />

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