Alma Mater Studiorum â Università di Bologna - Cestim
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<strong>di</strong> ricercatore, me l’hanno dato le frequenti richieste <strong>di</strong> informazioni che mi venivano rivolte dai<br />
pazienti. In più occasioni inoltre, sono stato scambiato per un me<strong>di</strong>co. Traggo ispirazione da questo<br />
fatto per introdurre la questione dell’etica seguita nell’osservazione coperta. Soprattutto quando<br />
qualche migrante mi fermava, scambiandomi per un me<strong>di</strong>co, succedeva che chi mi stava parlando<br />
iniziasse fin dalle prime battute a raccontarmi che problema <strong>di</strong> salute lo stava interessando, ad<br />
elencarmi i sintomi oppure a narrarmi la sua storia clinica. A questo punto, non appena capivo <strong>di</strong><br />
che si stava trattando, fermavo il mio interlocutore <strong>di</strong>cendogli che non ero un me<strong>di</strong>co e che appena<br />
possiblie lo avrebbero visitato o in alternativa mi impegnavo io stesso a sottoporre alla prima<br />
occasione il caso alla segreteria o ai me<strong>di</strong>ci. Se fossi rimasto ad ascoltare i racconti che mi venivano<br />
fatti, avrei sicuramente guadagnato in quantità e qualità <strong>di</strong> informazioni ottenute. Il prezzo sarebbe<br />
stato però quello <strong>di</strong> ingannare delle persone che si trovavano in un con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> bisogno.<br />
Quando mi è stato possibile, ho fornito informazioni a chi me lo chiedeva. Le informazionni<br />
concernevano principalmente in<strong>di</strong>cazioni <strong>di</strong> carattere pratico su come ottenere o rinnovare il<br />
tesserino Stp o come raggiungere altri servizi me<strong>di</strong>ci in città. Quando non ero certo delle in<strong>di</strong>cazioni<br />
che stavo comunicando, mi informavo io stesso da qualcuno <strong>di</strong> competente oppure facevo da<br />
portavoce o da interprete delle richieste altrui. La mia <strong>di</strong>sponibilità in tal senso l’ho sempre pensata<br />
come una qualche forma <strong>di</strong> “risarcimento” nei riguar<strong>di</strong> <strong>di</strong> chi mi stava raccontando parti anche<br />
importanti della sua esperienza, o semplicemente si stava facendo osservare mentre parlava con<br />
altri, o mi salutava o scambiava due chiacchiere con me credendomi in un ruolo che in realtà non<br />
era il mio.<br />
Nella pratica dell’osservazione partecipante ho attuato quin<strong>di</strong> una sorta <strong>di</strong> “pendolarismo <strong>di</strong> ruolo”<br />
tra quello <strong>di</strong> membro dell’organizzazione, se visto dalla prospettiva dei pazienti stranieri, e quello <strong>di</strong><br />
ricercatore interessato a stu<strong>di</strong>are una specifica situazione sociale, dal punto <strong>di</strong> vista del personale <strong>di</strong><br />
Sokos. Ho giocato quin<strong>di</strong> sulla mia appartenenza e non appartenenza, mettendo a frutto in tal modo<br />
la caratteristica fondamentale dello sguardo etnografico: la sua obliquità. Questo spostarsi su due<br />
ruoli <strong>di</strong>fferenti e contrastanti ha comportato per me un grande impegno e una grande fatica in<br />
termini <strong>di</strong> controllo della rappresentazione dell’identità personale, poiché nello spostarmi nei <strong>di</strong>versi<br />
spazi, nel parlare con le persone e nei momenti <strong>di</strong> intervista ho dovuto costantemente in<strong>di</strong>viduare il<br />
frame all’interno del quale agire ed interagire con gli in<strong>di</strong>vidui. Ciò mi ha tuttavia reso più<br />
consapevole dell’importanza degli “attributi <strong>di</strong>scriminanti <strong>di</strong> ruolo” l’età, la nazionalità e il genere,<br />
nonché del loro essere culturalmente definiti. 221 Il terreno su cui ho applicato questa consapevolezza<br />
è stato quello dell’intervista, anche se in generale essa ha interessato tutte le interazioni face to face.<br />
Ad esempio l’attributo dell’età anagrafica ha evidenziato la presenza o l’assenza <strong>di</strong> un certo grado<br />
221 Longo V., Dando l'anima alla città galleggiante. Il lavoro emotivo nelle navi da crociera, cit. p.75<br />
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