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Alma Mater Studiorum – Università di Bologna - Cestim

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isolvere una controversia sociale. Questa controversia oppone il migrante non tanto all'istituzione<br />

me<strong>di</strong>ca in quanto tale ma in quanto espressione dell'intera società <strong>di</strong> immigrazione.<br />

Per prima cosa dobbiamo riconoscere il valore che il migrante attribuisce al proprio corpo. Esso è<br />

uno strumento fondamentale poiché è al contempo l'oggetto della rappresentazione <strong>di</strong> sé,<br />

espressione della malattia e uno strumento <strong>di</strong> lavoro, indubbiamente il più importante perché<br />

l'immigrato esiste anche ai suoi stessi occhi, oltre che a quelli della società <strong>di</strong> immigrazione,<br />

unicamente attraverso il lavoro. In questo contesto la malattia o anche solo il rischio <strong>di</strong> ammalarsi<br />

incidono negativamente non solo sulla salute in sé ma più profondamente sulla stessa identità<br />

dell'immigrato, fino ad<strong>di</strong>rittura a negarlo in quanto tale. Come scrive Sayad “ poiché l'immigrato<br />

non ha senso ai propri occhi e agli occhi del proprio entourage, e al limite esiste solo attraverso il<br />

lavoro, la malattia in sé, ma forse ancora <strong>di</strong> più il vuoto che essa comporta, può soltanto essere<br />

vissuta come la negazione dell'immigrato (...) soprattutto quando esclude l'idea stessa <strong>di</strong> poter<br />

ancora lavorare.” 325 La malattia che colpisce l'immigrato provoca un crollo dell'equilibrio che lo<br />

sosteneva, fondato sul suo essere un immigrato in quanto abile al lavoro, l'unica ragione che ne<br />

giustifica la presenza e che gli permette <strong>di</strong> rimanere in una comunità <strong>di</strong>versa da quella originaria. 326<br />

Di conseguenza quando si rivolge all'istituzione me<strong>di</strong>ca, l'immigrato si aspetta da essa e dalla<br />

guarigione che la scienza biome<strong>di</strong>ca promette la restituzione “quasi magica”, ci <strong>di</strong>ce ancora Sayad,<br />

della propria identità e dell'equilibrio scomparso con la malattia. Il suo atteggiamento <strong>di</strong><br />

riven<strong>di</strong>cazione della malattia <strong>di</strong>venta così fermo che egli riven<strong>di</strong>ca l'esigenza <strong>di</strong> essere curato fino<br />

alla sparizione della malattia tanto da inse<strong>di</strong>arsi in essa. La malattia “(...) non può sparire fino a<br />

quando l'immigrato non ne ha più bisogno, fino a quando non trova una soluzione al proprio<br />

malessere e alle proprie contrad<strong>di</strong>zioni, tutte cose che rivelano o acutizzano la malattia” 327<br />

Il corpo del migrante <strong>di</strong>venta quin<strong>di</strong> il luogo sul quale si gioca la definizione dell'identità<br />

in<strong>di</strong>viduale e del ruolo sociale del migrante stesso. Il corpo infatti può essere definito anche come<br />

un testo che parla <strong>di</strong>versamente a seconda delle culture e delle relazioni in atto. Per comprenderlo<br />

“occorre preliminarmente capire chi lo scrive e chi lo legge: i segni, in altri termini, significano non<br />

<strong>di</strong> per se stessi , ma in relazione al rapporto sociale che lega chi li produce e chi li interpreta”. 328 Se<br />

definiamo il corpo come un testo, possiamo anche definire la malattia una forma <strong>di</strong> comunicazione.<br />

E' in questa definizione che trovano senso le richieste “eccessive” <strong>di</strong> cura formulate dai migranti ai<br />

325 Sayad A., La doppia assenza. cit. p.242<br />

326 Questo ragionamento, che a prima vista può sembrare esclusivamente frutto <strong>di</strong> un processo <strong>di</strong> astrazione, attinge<br />

invece largamente dalla realtà sociale. Si pensi ad esempio al legame inscin<strong>di</strong>bile tra contratto <strong>di</strong> lavoro e permesso<br />

<strong>di</strong> soggiorno, uno degli elementi fondanti delle politiche dell'immigrazione italiane.<br />

327 Sayad A., La doppia assenza. cit p. 245<br />

328 Stella R., “Il corpo come testo”, in Bucchi M., Neresini F., Sociologia della salute, Roma, Carocci, 2001 pp.<br />

265-291<br />

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