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di violentarti, né stasera né mai. Ora, mettiti a letto e fammi
dormire un po'.»
Raina si mosse piano e si accoccolò sotto le coperte. Il
cuscino era freddo contro il suo braccio ma il silenzio tra
loro lo era ancora di più. «Mi confondi» gli disse lei
parlando al buio. «Non so se dovrei odiarti o se…»
Le parole le morirono in gola. All'improvviso Raina
provò una pena infinita pensando a tutto quello che
Rutledge aveva passato… a tutto quello che aveva perso.
Ma soprattutto, capì di provare altro per lui. Qualcosa che
travalicava l'abisso del dolore e l'ostilità che li separava;
qualcosa che superava anche il suo desiderio di vendetta.
Era comprensione e qualcosa di ancora più forte. Qualcosa
che Raina era certa fosse… amore. «Vorrei non averti mai
incontrato» sussurrò e poi si voltò.
Gunnar la sentiva piangere in silenzio accanto a lui.
Dominò il desiderio di consolarla cercando di chiuderla
fuori dal suo cuore e di tornare a essere l'uomo che aveva
giurato d'essere.
Paura di lei? Sì, la temeva più di prima. Perché in quel
momento, nello spazio di un respiro, aveva immaginato di
stringerla a sé.
Amarla.
Perderla.
E così Gunnar rimase disteso accanto a lei, nell'oscurità
della sua stanza, combattendo il desiderio di abbracciarla.
Non osò muoversi finché non sentì il suo respiro farsi
regolare e capì che si era addormentata. Per le ore che
seguirono maledì il barone e il destino per averli fatti
incontrare, e maledì sé stesso perché gli importava di lei.