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Raina si rannicchiò ansimando per lo spavento,
coprendosi istintivamente il volto per proteggersi. Gunnar la
prese per i polsi e lei gridò mentre lui la sollevava per
rimetterla in piedi e farle vedere da vicino tutta la sua
rabbia. «Comportati bene e non ti farò del male» le disse
minaccioso. «Voglio uccidere tuo padre, non te. Dov'è ora?»
Raina si rifiutò di rispondere.
«Dimmelo!»
«Preferirei morire piuttosto che lasciarti avvicinare a lui!»
disse lei solennemente, ma l'audacia di quelle parole era
smentita dal tremore nella sua voce.
«Non essere stupida» replicò Rutledge, sfilandosi un
pugnale dalla cintura. «Solo perché non ho intenzione di
ucciderti, non credere che non sarei disposto a farlo se le
circostanze lo richiedessero.»
La punta della lama le punse un fianco, a sottolineare il
significato di quelle parole. Probabilmente sarebbe morta
quella notte stessa, ma giurò a sé stessa che non sarebbe
morta invano. Doveva fare tutto quello che poteva per
tenere Rutledge lontano da suo padre. Doveva avvertire le
guardie che quell'uomo si era introdotto nel castello e
salvare il suo adorato padre, a qualunque costo.
Sperava solo di riuscire a gridare abbastanza forte da farsi
sentire dalle guardie che si trovavano di sotto. Aprì la
bocca, intenzionata a urlare con tutta la forza che aveva in
corpo. Aveva appena preso fiato, quando Gunnar l'afferrò
per il collo e la tirò contro il suo petto. Le coprì la bocca con
la sua, inghiottendo le grida con un bacio. Raina sbarrò gli
occhi e l'urlo che le era morto in gola divenne presto un
gemito. Poi Rutledge la liberò.
«Prova di nuovo a gridare e ti farò tacere per sempre» la
minacciò. I suoi occhi brillavano nel chiarore scuro della
luna. Le lasciò il collo in modo tanto rude che Raina vacillò
all'indietro. «Dov'è quel maledetto di tuo padre?»