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Il giorno dopo, seduto sui palchi più alti, il barone Luther
d'Bussy non passava di certo inosservato. Fiero come un
pavone e quasi altrettanto colorato nei suoi costosi abiti in
seta, dettava ordini alla folla accorsa a vedere il torneo e ai
concorrenti con la regalità propria di un re. Più di un
passante commentò sottovoce la sfrontatezza del barone,
che sul capo stempiato sfoggiava una corona d'oro. Il
popolo assisteva all'ostentazione della sua ricchezza e il
barone di certo non fingeva modestia. Aveva trascorso
l'intera giovinezza a lavorare per raggiungere la posizione di
cui godeva e credeva di avere tutto il diritto di vantarsene.
«Una grande partecipazione, milord.»
Il barone grugnì in segno di conferma e lanciò uno
sguardo furtivo a Nigel. Poi si voltò e diede un morso a un
coscio di montone per scoraggiare ogni ulteriore tentativo di
conversazione. Per ragioni che aveva sempre preferito non
indagare, la voce di Nigel e in realtà anche la sua sola
presenza lo avevano sempre irritato.
Evidentemente Nigel aveva avuto lo stesso effetto anche
su qualcun altro di recente, qualcuno che, a giudicare
dall'aspetto pietoso del suo volto, aveva meno pazienza e
molta più forza del barone. L'occhio sinistro di Nigel era
chiuso per il gonfiore e circondato da un segno bluastro
grande quanto il pugno di un uomo, ma l'orgoglio di Nigel
non sembrava essere ferito. Era in piedi dietro i palchi quasi
vuoti, in sella al suo cavallo ad accogliere la folla di
spettatori e concorrenti.
Quando parlò, il tono della sua voce tradì una
presunzione che andava ben oltre il suo rango e il suo