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puntò un dito tremante al di sopra della sua spalla. Raina
smise di parlare, si voltò e non appena lo vide strinse gli
occhi.
«Tu!» gridò, ma a lui sembrava più un rimprovero che un
saluto.
Nessuno, nemmeno il più sfrontato dei mercenari al suo
servizio aveva mai alzato la voce con lui. L'idea che questa
ragazza minuta lo avesse appena fatto, portando le mani sui
fianchi e alzando il mento, lo divertiva molto. Lo intrigava.
«Buongiorno lady Raina.» Gunnar pose l'accento sul suo
titolo, cercando di mascherare lo stupore.
Il giorno prima, nonostante il fango, era attraente. Ma
adesso, mentre lo guardava, con il viso ben pulito e le gote
colorite dal sole e dalla sorpresa, era bella da togliere il fiato.
Gunnar non si accorse nemmeno che le altre donne si erano
allontanate.
«Vedo che il mio agnellino ha barattato il suo manto con
della seta raffinata.»
Lei sollevò ancora dì più il mento con piglio orgoglioso.
«E tu, milord, puoi anche aver nascosto la tua pelle scura
sotto una maglia di ferro, ma riesco ancora a intravedere un
lupo.»
«Davvero?» Gunnar smontò da cavallo e le si avvicinò.
«Suppongo, allora, che sarebbe troppo sperare che tu faccia
il tifo per me oggi, come tuo campione.»
Raina emise un suono in segno di diniego, ma a Gunnar
non sfuggì la curva delle sue labbra né il rossore che le
colorì il volto nell'istante in cui inclinò la testa verso il basso
guardandosi le scarpe. «Non farò il tifo per nessuno» disse
con sdegno. «Se potessi scegliere non assisterei nemmeno al
torneo. Al contrario di mio padre, che nutre una grande
passione per questo genere di eventi, trovo che i tornei siano
soltanto un'occasione per dare libero sfogo alla violenza e
alla dissolutezza.»