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Il cuore di Gunnar traboccava di rabbia. «L'hai scampata
per oggi, ma ricordati, d'Bussy, che i crimini che hai
commesso contro di me non resteranno impuniti» gridò.
Poi parlò diretto alla folla. «Questo ignobile bastardo
uccise mio padre per avidità e assassinò mia madre davanti
ai miei occhi quando lei si rifiutò di diventare la sua
concubina.»
Cadde un silenzio assordante.
«Bugiardo!» gridò Raina.
«Chi sei, farabutto?» chiese il barone, la sua voce
rimbombava sopra quella della figlia.
«Nessuno di importante, come dicesti tempo fa.»
Il barone sembrava confuso.
«La mia faccia non ti dice niente? È passato qualche
anno in effetti. Quasi una vita. Forse un nome potrebbe
rinfrescarti la memoria.»
«Voglio solo che tu te ne vada prima che ti faccia
impiccare e squartare» ringhiò il barone, e Gunnar soffocò
una risata, perché finalmente riconosceva nell'uomo che
aveva davanti la bestia di un tempo.
«Forse,» disse con calma «pensavi che cancellando il
nome dei Rutledge dalla faccia della terra, lo avresti
cancellato anche dalla tua memoria.»
«Papà?» s'intromise Raina. «Di cosa sta parlando?»
Gunnar si sforzò di continuare a guardare il barone, e
con soddisfazione vide gli occhi di d'Bussy stringersi fino a
diventare due fessure. «Tu sei completamente pazzo!»
sbottò il barone. «Non ho ucciso nessuno e non ti ho mai
visto prima.»
«Tredici anni sono bastati a farti perdere la memoria a
quanto vedo» disse lentamente Gunnar. «E ti hanno anche
fatto diventare negligente se lasci andare tua figlia in mezzo
ai lupi.»
Il barone impallidì e fece spostare sua figlia dietro di lui.