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Il barone aspettò che Nigel gli lanciasse una
provocazione, ma non disse nulla. Con le mascelle serrate,
girò il cavallo e si allontanò dai palchi cavalcando con
calcolata noncuranza in direzione dei tendoni in cui
vendevano birra.
Gunnar si aggirava in sella al suo cavallo per la via piena
di colori sentendosi un fantasma in mezzo a quella folla
sgargiante e confusa. Non avvertiva l'entusiasmo e
l'inquietudine che vedeva riflessi negli occhi degli altri
uomini. Scrutò dozzine di volti, osservò le espressioni avide
dei cavalieri più giovani e quelle dei cavalieri più anziani
che erano venuti a partecipare al torneo. Cercò invano i
freddi occhi blu che quasi ogni notte tormentavano i suoi
sogni; un volto butterato e un naso grande e rosso che
tradiva una certa propensione al bere. Avrebbe riconosciuto
quella faccia ovunque, riusciva ancora a vedere
l'atteggiamento arrogante di un uomo che disponeva di un
potere incontrollato, i denti gialli simili a ciottoli in un
sorriso malevolo.
Ma mentre il blu e l'oro dello stendardo di d'Bussy
sventolavano dalle lance di molti cavalieri in servizio, il
barone non si vedeva da nessuna parte. Forse, pensò
Gunnar, aveva bevuto un po' troppo vino e non si era
ancora alzato dal letto. No, molto probabilmente quel
vecchio maiale si stava facendo viziare nel suo castello e
avrebbe aspettato che tutti fossero presenti per fare
un'entrata trionfale.
Gunnar sperava di fare la sua entrata tra la folla senza
dare nell'occhio, con l'intenzione di non farsi notare da
d'Bussy finché non gli avesse puntato contro la gola la lama
della sua spada. L'armatura di Gunnar era infatti lucida ma
disadorna e non portava stendardi su lancia e scudo.
Negli ultimi sette anni non era stato al servizio di