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Raina si liberò del suo abbraccio e si strinse le braccia al
petto. La sua espressione s'incupì.
«Nigel, cos'è successo qui? Mio padre…»
«Non sta bene» disse Nigel finendo la frase al suo posto e
prese a passeggiare in direzione della finestra aperta. «Il
barone riesce a malapena a pensare lucidamente,
figuriamoci a governare una fortezza. E ovvio che ho fatto
tutto il possibile per abituarmi al ruolo di castellano in sua
vece.» Lanciò uno sguardo in direzione di Raina e vide che
la sua espressione non era cambiata. Pensieroso e con
l'espressione più dolce che avrebbe potuto fingere, aggiunse:
«Non è stato facile concentrarmi su questioni economiche
mentre ero così in pena per te.»
Ma queste parole non gli fecero guadagnare che un
debole sorriso. «Grazie per esserti occupato di tutto.»
Nigel si accigliò. La mancanza di reazioni da parte di
Raina lo lasciava perplesso. Si voltò per guardarla meglio in
volto e il suo sguardo indugiò sul letto.
Là, appoggiati in un angolo, c'erano i brandelli del vestito
di Raina. Accanto c'era il mantello di un uomo. Nigel si
avvicinò al letto e passo dopo passo sentì montare la collera
dentro di sé. Il vestito di Raina era strappato e sporco; le
gonne erano logore e gli orli anneriti e una manica era stata
strappata a partire dalla spalla. Digrignando i denti, Nigel si
avvicinò per toccare quel velluto consunto, indugiando con
le dita sul corpetto. Poi spostò lo sguardo sul mantello e ne
prese un angolo tra le dita.
Strano, pensò, che un rapitore offra alla sua prigioniera il
calore di un mantello. «Mi sembra di aver capito che ti ha
liberata.»
«Sì» rispose lei. «Non è più alla ricerca di vendetta. Non
voleva più usarmi contro mio padre e quindi mi ha
rimandata a casa, per dimostrare la sua buona fede…»
«Buona fede?» Nigel fece cadere con sdegno il mantello.