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sua famiglia. Lo avrebbe odiato per questo, e a ragione.
Ma ciò non poteva in alcun modo influire sui suoi piani.
Poteva spingerlo a ripulire la fortezza e a rispettare la sua
virtù, ma era diverso. Gunnar doveva vendicare un torto
subito e non si sarebbe lasciato influenzare da niente, men
che meno dalle sue emozioni. Ma Raina aveva comunque
diritto a una spiegazione, a delle scuse.
Il rombo di un tuono attirò l'attenzione di Gunnar che
alzò gli occhi verso il cielo scuro. Attraverso i rami degli
alberi grosse gocce di pioggia gli bagnarono il viso. Rimise a
posto l'anello e si sollevò sulle staffe in cerca dei suoi
uomini. In lontananza udì la voce di Alaric e si mosse in
quella direzione.
Gli uomini stavano passando al setaccio i cespugli con le
spade e nessuno di loro aveva un'espressione entusiasta.
«L'hai mancato» borbottò Cedric.
«No!» protestò Alaric. «Non l'hai sentito stridere?»
«L'unico stridio che sento, proviene dalla tua bocca» si
lagnò Burc facendo capolino da un cespuglio in fiore. «Al
massimo avrai centrato il culo del cinghiale.»
Gunnar si avvicinò a loro e fermò il cavallo. «Potete
finire la battuta di caccia senza di me,» disse «torno alla
fortezza.»
«Sì» concordò Wesley, l'arciere, mettendo a posto il suo
arco. «Sta per iniziare a piovere e non ho voglia di
infradiciarmi fino al midollo per cercare un cinghiale
fantasma.»
«Nemmeno io» replicò Burc.
Anche gli altri uomini sembravano essere d'accordo e si
prepararono ad abbandonare la caccia.
«Ma io l'ho colpito davvero» affermò Alaric «e non torno
alla fortezza senza cinghiale.» Guardò i cavalieri. «Chi ha
intenzione di scommettere che mi sbaglio? Ci sarà pure
qualcuno tra voi che non ha paura di qualche goccia di