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fermento, ma che fissava intensamente il castello che la
dominava. Quegli occhi, che non tradivano alcun tipo di
emozione, profondi e freddi come la foresta che li
nascondeva, si chiusero per un attimo e poi guardarono in
direzione delle nuvole tetre.
Pioggia.
Iniziò a cadere subito, dapprima picchiettando in modo
leggero sulle fronde degli alberi e poi crescendo fino a
diventare un violento acquazzone estivo, che si spostò in
fretta verso l'accampamento. Una smorfia increspò le labbra
che fino a quel momento erano rimaste serrate. Un simile
temporale avrebbe sicuramente posticipato l'inizio del
torneo e, cosa ancora peggiore, avrebbe significato onorare
con ritardo la sua promessa.
Gunnar Rutledge imprecò, ma le bestemmie furono
inghiottite dal rombo di un tuono. Sotto di lui, il suo cavallo
nero si agitò spaventato, sbarrando gli occhi pieni d'ansia.
Gunnar gli accarezzò il collo con fare brusco e gli bisbigliò
qualcosa per calmarlo, ma sembrava più un avvertimento
che un tentativo di ammansirlo. Non era avvezzo alla
paura, tantomeno ai modi per scacciarla. Molto tempo
prima aveva imparato a farne a meno, e con essa aveva
bandito ogni altra emozione che avrebbe potuto renderlo
debole. Non conosceva il significato della parola festeggiare e
non si abbandonava ai sogni. Aveva nutrito la sua mente di
pura logica e il suo corpo, a soli ventitré anni, era stato
forgiato da duro lavoro e innumerevoli battaglie, tanto da
diventare un'estensione dell'armatura e delle armi che si
portava appresso. Aveva bandito ogni sentimento ed
esorcizzato tutti i suoi demoni.
Tranne uno.
E ora quel demone lo aveva invitato nella sua tana,
offrendogli un'opportunità tanto perfetta che Gunnar non
sarebbe stato in grado di immaginarla in modo migliore. Si