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agnellino.»
Dio, era lui!
Mentre Gunnar si faceva strada attraverso l'oscurità,
Raina si muoveva a tentoni verso la porta. Sotto le dita
avvertiva il freddo della parete e teneva gli occhi fissi su di
lui.
Gunnar era in piedi al centro della stanza. La luce
rossastra delle fiamme illuminava debolmente la sua figura.
Indossava l'armatura, ma non l'elmo. Il cappuccio di un
mantello scuro gli nascondeva la testa. Si voltò verso Raina,
e anche se lei non riuscì a distinguerne i lineamenti, avvertì
il suo sguardo rapace.
Non sarebbe potuta scappare, ma doveva provarci. Fece
un bel respiro e cercò di raggiungere la porta. Allungò la
mano e trovò facilmente il chiavistello. Il terrore le stringeva
la gola mentre cercava di aprire la pesante porta di legno.
Quando si sentì afferrare per le spalle avrebbe voluto
gridare, ma non riuscì a emettere suono.
Inciampò e mise le mani avanti per parare la caduta.
Pensava che sarebbe rovinata a terra e invece andò a
sbattere contro il letto di suo padre. Cadde con il viso contro
il materasso e si aggrappò alla pelliccia di ermellino che
copriva il letto, lottando per allontanarsi dalla presa di
Rutledge.
«Dove credi di andare, agnellino?» L'afferrò per le
caviglie e la tirò a sé ridendo. Raina sentiva il cuore batterle
all'impazzata. Era impotente e indifesa, ma anche caparbia,
e rifiutava l'idea di arrendersi senza aver prima combattuto.
Mentre lui continuava a tenerla stretta, riuscì a girarsi e
prese ad agitare le mani nell'oscurità nel tentativo di
difendersi. Continuando a dimenarsi, gli sfilò il cappuccio.
Sentì sotto la mano la pelle del suo viso e lo graffiò.
«Perdio!» gridò lui, e con uno strattone la scaraventò a
terra.