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stata scardinata. L'oscurità che lo aspettava in cima alle
scale era solo l'anticamera di un luogo umido e ammuffito.
Quando oltrepassarono la soglia, un pipistrello svolazzò
sopra le loro teste perdendosi poi nel buio della notte. Le
grida di spavento di Raina echeggiarono nella stanza vuota
e finché il pipistrello non se ne andò, lei nascose il viso
dietro le braccia di Gunnar.
«Vieni» le disse lui con gentilezza. La condusse dentro
lasciandosi guidare da un sottile raggio di luna che
penetrava da una fessura, per poi arrivare alle scale a
chiocciola che portavano al piano superiore. Mentre
salivano i gradini, Gunnar teneva stretta la mano di Raina
nel tentativo di sopprimere uno strano tremore che
continuava ad avanzare dentro di lui.
Delle immagini gli affollavano la mente: lo stridore della
spada di d'Bussy, la sua risata maligna, il corpo di sua
madre che si accascia sul pavimento, e il sangue. Dio, il
sangue. Si passò una mano sulla fronte ma non bastò a far
cessare il dolore che gli faceva pulsare le tempie, né a fargli
passare il senso di colpa che gli divorava l'anima.
«Ti… ti prego,» sussurrò Raina dietro di lui «non voglio
stare qui.»
Gunnar abbozzò nel buio un sorriso beffardo ma privo di
ironia.
«L'idea non piace nemmeno a me, milady, ma credo
proprio che questo sia il posto più sicuro per noi in cui
passare la notte e riposare un po'.»
Arrivarono in cima alle scale e Gunnar si diresse verso la
prima camera a passo deciso. Gocce di sudore gli
imperlavano la fronte e il labbro superiore man mano che si
avvicinava alla soglia della camera. La paura gli
attanagliava il cuore tanto quanto Raina stringeva la sua
mano.
«Aspetta qui» le disse e si avvicinò alla soglia. Teneva i