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cullandola con il calore del suo corpo. «A me puoi dirlo.»
Raina prese un bel respiro e poi si lasciò andare,
nascondendo il volto nel suo petto. «Norworth non era
come casa tua. Non c'erano picnic, nuotate o qualcuno che
mi raccontasse le storie. Mio padre era sempre via e quando
c'era, era sempre troppo impegnato per giocare con me, e
mia madre di rado usciva dalla sua stanza…»
Raina riusciva ancora a sentire sua madre che piangeva.
Chiuse gli occhi, ma vedeva ancora il suo corpo fragile steso
al centro del letto e un gruppetto di cameriere che si
prendevano cura di lei. Quando una delle cameriere le
aveva passato un panno umido sul volto, sua madre aveva
gemuto di dolore. Un'altra le aveva spalmato un unguento
sul braccio pieno di lividi.
Mamma, mi leggi qualcosa?
Raina era in piedi sulla soglia e teneva in mano la Bibbia
di sua madre. Non appena aveva detto quelle parole, le
cameriere si erano voltate a guardarla ma nessuna aveva
parlato. Poi un singhiozzo disperato si era levato dal letto.
Portatela via! Non la voglio qui!
Raina tremava ancora al ricordo. Gunnar la teneva
stretta e le accarezzava le spalle. Il suo silenzio e la
tenerezza con cui l'ascoltava le diedero il coraggio di
parlare. «Credo di essere scappata perché non sentivo di
appartenere a quel luogo. Non era la vita che volevo.»
Le sembrò oltremodo stupido ammettere una cosa del
genere davanti a una persona che aveva perso tutta la sua
famiglia in modo insensatamente tragico. Ma era molto più
di questo e, per qualche strana ragione, Raina si sentì in
dovere di raccontare tutta la verità a Gunnar. «Pensai che se
me ne fossi andata, sarebbe stata più felice.»
«Tua madre?»
Raina annuì in silenzio. «Una volta era felice. Mio padre
mi ha sempre detto che quando si sono incontrati, mia