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Gunnar prese in mano il pettine che Agnes aveva lasciato
lì vicino e iniziò a pettinare i lunghi capelli di sua moglie,
affondando le dita in quell'intrico setoso. Raina si sistemò
appoggiando la testa sul bordo della vasca; chiuse gli occhi
mentre lui la pettinava e poi riprese a canticchiare.
Era una melodia misteriosa e familiare allo stesso tempo.
Mentre Raina sussurrava quelle parole, Gunnar era certo di
averle già sentite molti anni prima. Avrebbe voluto baciare
la fronte di sua moglie, di quell'agnellino che aveva saputo
rapire il suo cuore di lupo; ma la lasciò cantare assaporando
l'intima gioia di sapere che si appartenevano.
Ora che era tornato a casa, avrebbero avuto tutto il
tempo del mondo per baciarsi.
«Ma non sei nemmeno un po' curioso di sapere cosa sto
cantando?»
«Sì» rispose Gunnar e quando alzò lo sguardo trovò
Raina che lo stava fissando. «Dimmi, cos'è che stai
cantando?»
«È una ninna nanna. Me l'ha insegnata Agnes.»
«Ah.» Gunnar le baciò la fronte e tornò a concentrarsi sui
neri capelli di Raina. «Cantala ancora. Mi piace.»
«Penso che con il tempo ti stancherai di sentirla.»
Gunnar sorrise. «Vuoi dirmi che è l'unico motivo che
conosci?»
«No» rispose Raina ridendo. «Ma la sentirai spesso,
perché la canterò a nostro figlio la prossima estate.»
Gunnar si fermò mentre ragionava sul significato di
quelle parole. Quando guardò Raina, vide che i suoi occhi
brillavano di gioia. L'espressione sul suo viso doveva essere
stata eloquente, perché Raina annuì con entusiasmo e
sorrise.
«Vuoi dire…» ma non riuscì a finire la frase, perché
aveva il cuore in gola.
Raina annuì ancora. Il suo sorriso si era fatto più dolce.