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ealtà era solo un segno della sua malafede, della sua
perfidia. Raina era stata in grado di tenere a bada i suoi
dubbi fino a quel momento, ma dopo aver visto l'anello si
sentì sommergere dalla vergogna.
Se suo padre le aveva mentito sull'anello, cos'altro poteva
averle nascosto?
Dio, doveva trovare Gunnar, dirgli quanto le
dispiaceva… per tutto. Lui era venuto a scusarsi e lei lo
aveva ripagato mettendo in dubbio il suo passato. Raina
non poteva aspettare un minuto di più, uscì dalla camera e
si affrettò a scendere le scale.
«Gunnar!» gridò correndo verso le voci che provenivano
dal salone. «Gunnar!»
Un gruppetto di uomini sedevano a un tavolo, intenti a
giocare a dadi. La guardarono con aria interrogativa.
«Avete visto milord?» chiese incurante degli sguardi di
sorpresa che gli uomini si scambiavano tra loro. «Devo
trovarlo. È passato di qui?»
«Sì» rispose una voce roca alle sue spalle.
Raina si voltò e vide Burc che la squadrava con gli occhi
annebbiati dall'alcol mentre le si avvicinava. Il puzzo di
vino e sudore che emanava la fece indietreggiare.
«Dov'è andato?» gli chiese.
Il cavaliere alzò le spalle. «È uscito.»
Il lampo di luce che attraversò lo sguardo di Burc le fece
venire la pelle d'oca. Raina strinse i pugni e fece per
andarsene ma Burc le si piazzò davanti, bloccandole la
strada.
«Vi prego di spostarvi, signore» disse lei guardandolo
negli occhi.
Burc la fissò divertito. «Mi preghi?» disse con un sorriso
malizioso. «Mi piacerebbe proprio che tu lo facessi, donna.»
Raina si morse le labbra e cercò di spostarsi in fretta
verso sinistra. Burc fece altrettanto, divertito.