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che le martellava in petto, lo stomaco chiuso. Santo cielo,
anche nei suoi incubi Rutledge accusava suo padre di essere
un assassino. Non poteva essere la verità! Eppure, il terrore
e il dolore che avvolgevano la sua voce erano reali.
Non poteva andarsene.
Esitando si voltò e, quando lo guardò, Raina non fu in
grado di fermare l'ondata di compassione per lui che le si
abbatté addosso. Quell'uomo enorme, quel guerriero senza
cuore dormiva appoggiato contro una parete, prostrato da
un brutto sogno, un rivolo di sudore gli bagnava le tempie.
Raina tornò nella stanza abbandonando così il proposito
di fuggire e maledicendosi per aver deciso, come una
stupida, di restare.
Le immagini scorrevano veloci nella testa di Gunnar: il
caos dell'assedio, le grida di terrore e un fumo nero e denso
che si levavano dal muro di cinta ed entravano nella stanza
in cui si trovava; passi pesanti di soldati che si erano fermati
proprio davanti a quella porta seguiti dall'ordine di aprirla
immediatamente; le braccia di sua madre che gli
stringevano le spalle nel tentativo di proteggerlo, il battito
del suo cuore forte contro la sua schiena, mentre sua madre,
per calmarlo, gli sussurrava che sarebbe andato tutto bene,
che non doveva avere paura.
Dio, ma lui era così spaventato! Era terrorizzato, e
ciononostante si liberò dall'abbraccio della madre per
andare a prendere la pesante spada di suo padre, tentando
di ignorare il doloroso sforzo a cui erano sottoposte le sue
mani di bambino.
Poi la porta si spalancò.
In piedi sulla soglia c'era il barone Luther d'Bussy. Nella
sua armatura, mentre si toglieva la cuffia in maglia di ferro,
sorrideva in modo malevolo e i suoi intenti criminali gli
accendevano gli occhi iniettati di sangue.