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cervo affumicata e un fiasco di vino. Abbastanza per un bel
picnic, ma Raina aveva il vago sospetto che avrebbero avuto
entrambi una gran fame di lì a poco.
Dopo che Gunnar ebbe tagliato in due la pagnotta e
servito il formaggio, Raina, seduta accanto a lui, si chiese
come mai si sentisse così a suo agio in compagnia di un
uomo che conosceva a malapena. Certo lo conosceva
intimamente e dentro di sé sentiva che le loro anime erano
ormai legate, che in qualche modo lo erano sin dalla notte
dei tempi. Ma, osservandolo da vicino, si rese conto di
quanto poco sapeva di lui, del suo passato.
«Hai detto che tuo padre ti ha insegnato a nuotare.
Sapeva nuotare bene?»
Gunnar la guardò per qualche minuto, come se stesse
cercando di capire perché lei gli facesse quella domanda.
«Sì,» rispose infine «il migliore di tutta la contea.» Distolse
lo sguardo e cominciò a rigirare tra le mani il coltello,
usandone la punta per estrarre un sasso dal terreno. «Era
anche un ottimo maestro, fisicamente prestante, ma ha
sempre preferito dedicarsi allo studio.»
«Era uno studioso?»
«Diceva di essere uno studioso della vita» disse Gunnar
con un sorriso distaccato. «Ma essendo il primogenito di
una casata nobile, il suo destino fu deciso il giorno in cui
venne alla luce. Non ci sarebbe stato spazio nella sua vita
per i libri e lo studio. Avrebbe dovuto combattere come
cavaliere per il debito che aveva nei confronti del suo
sovrano. Ma questo non gli ha mai impedito di riempire le
pareti di casa di libri.» Gunnar rise in modo nostalgico. «Né
di raccontare a me e a mia madre le storie degli antichi greci
e dei loro filosofi.»
E fu così finché mio padre non lo uccise mettendo fine a
tutto questo, pensò Raina. Il senso di colpa le spezzò la
voce. «Doveva essere un grand'uomo.»