pater familias

all’esistenza di un tutor per le mulieres e gli impuberi; ma
la vera necessità di legittimare l’istituto si fece sentire a
partire dalla fine del II sec. a.C. 253 , quando la tutela iniziò
ad indebolirsi e ad essere sentita come un peso dalle
tutelate emancipatesi fino ad assumere, progressivamente,
un ruolo autonomo nel panorama economico. Allora si
cercarono giustificazioni, con il fine, vano, di riaffermare
l’opportunità di un istituto che, ormai, si avviava verso un
inevitabile declino. La visione della donna come soggetto
debole era un pregiudizio di antico retaggio: i giuristi lo
applicarono alla tutela, non perché non conoscessero
l’effettivo scopo dell’istituto, ma perchè volevano celarlo
sotto l’apparente necessità di proteggere la donna da se
stessa.
Come abbiamo detto, questa visione della mulier
corrispondeva senza dubbio alla realtà del periodo
arcaico 254 , caratterizzato dalla condizione segregata in cui
la medesima viveva ab antiquo 255 ; ma non può costituire la
ragione della specifica disciplina della tutela muliebre.
Basti pensare al fatto che, come è noto, il tutore legittimo
poteva essere incapace d’agire. Questo dato è sufficiente
per criticare e smentire, come farà Gaio, con altre
argomentazioni, in Inst. 1,190, in merito al suo tempo 256 ,
la tanto dichiarata volontà di guidare e sorreggere le donne
sui iuris, in quanto facilmente raggirabili in campo
negoziale a causa della loro leggerezza di giudizio, di
253 TALAMANCA M., Per la storia della giurisprudenza romana,
in BIDR 80 (1977), 301 nt. 226.
254 Non si può sostenere lo stesso in merito alla tarda repubblica,
come si approfondirà in seguito.
255 TELLEGEN-COUPERUS O.E., Tutela mulierum, une institution
rationnelle, in Revue historique de droit francais et ètranger, 4
sèrie 84 (2006), 424.
256 Vd. infra cap.4 § 5.
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