pater familias

Si è infatti ritenuto, soprattutto sulla base di un passo di
Cicerone che esamineremo subito sotto, che la capitis
deminutio, presupposto per esercitare il ius testandi,
potesse essere conseguita tramite un atto diverso dalla
coemptio testamenti f.g.. Mi riferisco a un passo dei
Topica, dove Cicerone asserisce che nemmeno il pretore
poteva concedere il possesso dei beni secundum tabulas
all’erede designato dalla donna nel caso in cui l’atto fosse
invalido iure civili per la mancanza della capitis
deminutio, a cui la donna avrebbe dovuto sottoporsi;
l’Arpinate paragona, significativamente, la donna non
capite minuta allo schiavo, all’esule e al fanciullo, soggetti
incapaci di testare:
Cicero, Topica, IV, 18: Si ea mulier testamentum fecit,
quae se capite numquam deminuit, non videtur ex
edicto praetoris secundum eas tabulas possessio dari;
adiungitur enim ut secundum servorum, secundum
exsulum, secundum puerorum tabulas possessio
videatur ex edicto dari.
L’Arpinate, quindi, ha ricordato il requisito essenziale per
la validità del testamento muliebre: la donna doveva essere
capite minuta. Questa è la conferma che la condicio per
avere il diritto di testare consisteva nel mutare il proprio
status familiae in modo da non avere più successori
legittimi.
Parte della dottrina, nonostante il tenore generico del
passo ciceroniano, pensa che la capitis deminutio a fini
testamentari si potesse attuare solo tramite coemptio
fiduciaria 419 . Un altro filone interpretativo dà invece
419 BONFANTE P., Corso, VI, cit., 376; VOLTERRA E., Sulla
capacità, cit., 86; KASER M., Zur Geschichte der “capitis
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