pater familias

donne non fossero più considerate sottoposte a tutela;
altrimenti non sarebbe stato possibile affidare loro la tutela
della prole. Non è infatti possibile che la mater potesse
essere costretta a chiedere l’intervento tutorio per alcuni
atti di disposizione del suo patrimonio e che, d’altro canto,
fosse chiamata ad agire in nome e per conto dei pupilli,
prestando l’auctoritas per gli atti riguardanti il loro
patrimonio.
E’ d’altronde possibile trovare nelle fonti indizi a prova
del fatto che già da tempo le madri cooperavano con i
tutori nella gestione dei beni degli impuberi: forse già dalla
fine del II a.C., in base a quanto scritto da Livio XXXIX ,9
in merito alla condizione del giovane Ebuzio sub tutela
Duroniae matris et vitrici T. Sempronii Rutili 692 .
Tale collaborazione spesso nasceva per volontà paterna,
come si evince dalle fonti 693 e, in particolare, da un
responso di Papiniano, riferito da Ulpiano:
D.26,7,5,8 (Ulpianus, libro trigesimoquinto ad
edictum): Papinianus libro quinto responsorum ita
scribit: pater tutelam filiorum consilio matris geri
mandavit et eo nomine tutores liberavit. Non idcirco
minus officium tutorum integrum erit, sed viris bonis
conveniet salubre consilium matris admittere, tametsi
neque liberatio tutoris neque voluntas patris aut
intercessio matris tutoris officium infringat.
In questo caso il padre voleva che la tutela dei figli fosse
amministrata con il contributo della madre, sollevando da
692 Vd. nt. 346 . Cfr. CRIFÒ G., Sul problema della donna tutrice
in diritto romano classico, in BIDR 67 (1964), 156 nt.8.
693 Paul. Sent. 1,4,4; Paul. Sent. 2,11,2; C. 4, 29, 6pr.; C. 5,46,2; C.
5,51,9; D. 3, 5,30 (31),6.
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